Grassi saturi: tra raccomandazioni nutrizionali ed evidenza scientificaL'IDEA DI Franca Marangoni*

Con l’avvicinarsi delle festività, tradizionalmente legate alla convivialità e al piacere della tavola, emerge il problema dell’eccesso calorico, in particolare dei grassi saturi. Le linee guida internazionali ribadiscono di limitare i grassi saturi al 10% (OMS al 5%) delle calorie giornaliere, ma nuove evidenze suggeriscono un approccio meno rigido. L’impatto sulla salute dipende anche dalle fonti alimentari e dal contesto complessivo della dieta. Studi recenti evidenziano l’importanza di integrare più grassi insaturi, cereali integrali, frutta, verdura e legumi, promuovendo una “nutrizione positiva” che migliora la salute senza rinunciare al gusto e alla convivialità, soprattutto durante le feste.   

Affrontare il tema delle raccomandazioni nutrizionali mentre ci prepariamo a pranzi e cene delle feste può sembrare fuori luogo, soprattutto se il focus è sui grassi saturi, che sono inevitabilmente presenti nei piatti che gusteremo in famiglia e con amici nei prossimi giorni, e che le linee guida nutrizionali continuano a ribadire di limitare. Lo conferma il report scientifico, che è stato pubblicato proprio questa settimana, sul quale saranno basate le linee guida nutrizionali americane da qui al 2030 che, in tema di grassi saturi, condivide la raccomandazione delle linee guida italiane per una sana alimentazione a limitarne il consumo entro il 10% delle calorie totali giornaliere. Da questo punto di vista niente di nuovo dunque: si tratta dello stesso valore che i nutrizionisti riconoscono come obiettivo nutrizionale per la prevenzione, in virtù dell’associazione riconosciuta da decenni tra l’assunzione elevata di grassi saturi e l’aumento dei livelli di colesterolo nel sangue, che rappresentano un importante fattore di rischio per le malattie cardiovascolari.

NUOVE PROSPETTIVE: IL RUOLO DELLE FONTI ALIMENTARI

Tuttavia, il messaggio degli esperti che hanno firmato il documento statunitense sembra meno rigido rispetto al passato e tiene conto di quanto emerge dagli studi più recenti, e cioè che il problema non riguarda tanto (o comunque non soltanto) quanti grassi saturi assumiamo, ma anche quali fonti alimentari scegliamo e come componiamo la nostra dieta nel suo complesso. Sono infatti ormai numerosi gli studi epidemiologici che rilevano l’assenza di associazioni sfavorevoli (e in alcuni casi la presenza di correlazioni favorevoli) con il consumo di formaggi o di cioccolato, che sono tra gli alimenti più ricchi di grassi saturi, ma che apportano anche altri nutrienti e composti minori biologicamente attivi, dotati di proprietà positive per la salute. Inoltre, come ha riconosciuto anche l’OMS, limitare i grassi saturi di origine alimentare è efficace nei confronti del rischio cardiovascolare solo se questa riduzione è accompagnata dall’aumento della quota di grassi insaturi (spesso definiti infatti “buoni”), e in particolare di polinsaturi, come quelli contenuti negli oli vegetali e nella frutta secca o nel pesce.  

DATI GLOBALI E DIETA MEDITERRANEA

A queste considerazioni vanno aggiunte poi le informazioni che emergono dal Global Burden of Disease Study, un’ampia ricerca internazionale che valuta periodicamente l’impatto sulla mortalità e la morbilità di malattie, condizioni e fattori di rischio specifici, compresi l’alimentazione e lo stile di vita nelle diverse regioni del mondo. Ebbene, tra i principali fattori di rischio di mortalità precoce correlati alla dieta (tra i quali, tra l’altro, non si ritrovano i grassi saturi), dopo l’assunzione di quantità eccessivamente elevate di sodio, e quindi di sale, ci sono gli apporti insufficienti di alimenti, come i cereali integrali, la frutta, la verdura, i legumi, i semi e la frutta secca, e nutrienti, come i grassi polinsaturi, che sono componenti caratteristici della dieta mediterranea con implicazioni positive per la salute e che non assumiamo in quantità sufficienti. Gli obiettivi di consumo fissati dagli esperti per tutti questi componenti “buoni” in termini di apporto giornaliero per una dieta complessivamente adeguata sono ancora lontani anche per Paesi come l’Italia, nei quali la varietà dell’offerta alimentare non dovrebbe rappresentare un problema. Il dato è simile per un altro parametro che questo grande studio riporta: gli anni di vita persi a causa di malattie e disabilità, un indicatore chiave per valutare il carico globale delle malattie.

NUTRIZIONE POSITIVA: IL FUTURO DELLA DIETA

Si parla quindi di “nutrizione positiva”, per l’approccio basato su queste evidenze che suggerisce di focalizzare l’attenzione soprattutto sugli elementi dei quali dobbiamo aumentare la presenza nella nostra dieta. Mangiare più frutta, verdura, cereali integrali, legumi e prediligere le fonti di grassi insaturi può avere un impatto positivo molto maggiore rispetto alle semplici restrizioni. Un’indicazione che può essere considerata anche nella preparazione dei menu delle feste, senza rinunciare al gusto e al piacere della convivialità, un altro elemento che caratterizza le diete più equilibrate, mediterranea compresa.

*Franca Marangoni è Direttore Scientifico NFI – Nutrition Foundation of Italy

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