Agroalimentare italiano: dipendenza estera e vulnerabilità delle filiereDI Carola Macagno

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Il settore agroalimentare italiano rappresenta un esempio di successo nell’equilibrio tra tradizione e innovazione, capace di affermarsi sui mercati internazionali grazie alla trasformazione di materie prime in prodotti simbolo del Made in Italy. Tuttavia, questa eccellenza è possibile solo perché l’Italia è fortemente dipendente dalle importazioni di alcuni beni agricoli, indispensabili per rifornire le filiere industriali del Paese.

Secondo il recente rapporto ISMEA, l’Italia non si limita a importare prodotti agroalimentari impossibili da coltivare a livello nazionale, come caffè o olio di palma – per cui il tasso di autosufficienza è pari a zero – o frutta esotica, ma acquista dall’estero anche beni fondamentali per le sue filiere, tra cui olio extravergine d’oliva, mais, bovini vivi, prosciutti e spalle di suini, frumento tenero e duro, fave di soia e panelli di estrazione dell’olio di soia.  

Le importazioni di caffè provengono da cinque Paesi chiave: Brasile, Vietnam, Uganda, India e Indonesia. Per quanto riguarda l’olio di palma, circa il 90% del valore importato dall’Italia proviene dall’Indonesia, primo produttore mondiale, dalla Malesia e dal Guatemala. Ed è al 97% certificato come sostenibile.

L’elevato livello di concentrazione delle forniture (indice pari a 0,37 nel caso dell’olio di palma) rende la filiera particolarmente esposta a crisi geopolitiche, climatiche e sanitare, che possono destabilizzare le catene di approvvigionamento e innescare aumenti dei prezzi.

Questa dipendenza non è solo una questione nazionale, ma riflette una vulnerabilità più ampia, che riguarda la sicurezza alimentare globale. La crescente domanda mondiale, combinata a una crisi di produttività agricola, mette sotto pressione un sistema già fragile. Un esempio lampante è rappresentato dal cacao, il cui mercato ha subito una grave crisi: ad aprile 2024, i prezzi sono aumentati del 135% rispetto a gennaio e del 300% rispetto ai livelli di inizio 2023. Questo drammatico incremento è legato al crollo della produzione nei principali Paesi produttori, come la Costa d’Avorio e il Ghana, dove malattie delle piante e condizioni climatiche avverse, tra cui siccità e piogge irregolari, hanno messo in ginocchio le filiere.

UNA FILIERA SOTTO PRESSIONE: LA CRISI GLOBALE DEGLI OLI VEGETALI

Tra gli oli vegetali, l’olio di palma – che rappresenta il 54% delle esportazioni globali degli oli vegetali – si distingue per la sua efficienza produttiva: occupando appena il 6% delle terre agricole dedicate agli oli, produce il 32% della fornitura mondiale, rendendolo insostituibile per la sicurezza alimentare globale. Nonostante questi dati, il settore è sotto pressione. Piantagioni obsolete, carenza di manodopera e costi crescenti stanno rallentando la produzione globale. A queste difficoltà strutturali si aggiungono regolamentazioni ambientali sempre più stringenti, che pur necessarie, spesso ignorano le complessità operative del settore.

Le stime per il 2024/2025 indicano una riduzione significativa della produzione di olio di palma, con un calo a 80 milioni di tonnellate rispetto al 2023. In Indonesia, il principale produttore mondiale, la produzione è diminuita di 2,5 milioni rispetto all’anno precedenze, mentre esportazioni sono crollate da 31 milioni di tonnellate nel 2023 a 17,5 milioni nei primi nove mesi del 2024. Questo calo è attribuibile non solo alla minore produzione, ma anche all’aumento del consumo interno, in gran parte per il biodiesel.

Questa crisi coinvolge anche altri oli vegetali come quello di girasole e di colza, aumentando la pressione su colture alternative come la soia, soprattutto in Sud America. La stagnazione della produttività è dunque una delle sfide più urgenti chiave per garantire la sicurezza alimentare globale.  

SICUREZZA ALIMENTARE E SOSTENIBILITÀ: IL RUOLO DELL’EUROPA

In questo contesto, l’Europa si trova a dover bilanciare le esigenze di sostenibilità ambientale con la necessità di garantire una fornitura stabile e adeguata di materie prime. La European Deforestation Regulation (EUDR) rappresenta un passo in avanti verso la tutela delle foreste e la trasparenza delle filiere globali. Tuttavia, la sua attuazione richiede un equilibrio tra la protezione ambientale e il sostegno alla produttività agricola.

Nonostante l’EUDR sia stata ufficialmente posticipata di un anno per consentire a tutti gli stakeholders coinvolti di adeguarsi, la combinazione tra la domanda globale in crescita e la crisi di produttività rischia compromettere la sicurezza alimentare, sia in Europa che a livello mondiale.

Per affrontare questa sfida, è necessario promuovere politiche che incentivino investimenti in tecnologie avanzate e reimpianti sostenibili, aumentando la resa per ettaro senza compromettere la biodiversità. Inoltre, tali misure devono essere accompagnate da un sostegno concreto ai piccoli produttori nei Paesi esportatori, che costituiscono la spina dorsale di molte filiere agricole globali. Per garantire efficacia e attuabilità delle regolamentazioni ambientali, è cruciale mettere a disposizione risorse finanziarie e programmi di assistenza tecnica, assicurando che tutti gli attori coinvolti possano conformarsi agli standard richiesti. Solo una collaborazione internazionale equa e strategica potrà rendere le filiere resilienti e sostenibili, capaci di rispondere alle esigenze di una popolazione mondiale in continua crescita.

La sfida è tecnica, ma anche politica ed economica. L’Europa deve posizionarsi come leader globale, sviluppando soluzioni innovative e promuovendo un dialogo costruttivo con i Paesi produttori. Solo attraverso un approccio bilanciato, che unisca sostenibilità e produttività, sarà possibile salvaguardare l’approvvigionamento alimentare, garantendo al contempo il rispetto dell’ambiente e dei diritti umani lungo tutta la filiera.

Leggi EUDR: Accogliamo le linee guida della Commissione e la proposta di un anno di transizione>>>

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