Giornata Nazionale del Made in Italy: tra salute, scelte politiche e identità culturaleINTERVISTA AL PROFESSORE MICHELE CARRUBA

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Il 15 aprile celebriamo la Giornata Nazionale del Made in Italy, un’occasione per riconoscere il valore di ciò che produciamo, esportiamo e raccontiamo al mondo. Tra i protagonisti indiscussi c’è la filiera agroalimentare, sempre più centrale nell’economia nazionale. Oggi questo comparto genera quasi 335 miliardi di valore aggiunto, pari al 19% del PIL italiano, con un fatturato che ha raggiunto i 586,9 miliardi di euro: +8,4% rispetto al 2021 e +29% sul 2015. In un contesto segnato da crisi sanitarie e tensioni internazionali, è stata proprio la qualità del Made in Italy agroalimentare a trainare la crescita.

In questo contesto, abbiamo intervistato il Prof. Michele Carruba, presidente del nostro Comitato Scientifico, per esplorare il legame profondo tra la Dieta Mediterranea, la salute pubblica e il ruolo delle scelte politiche – comprese quelle legate ai dazi e alla regolazione dei mercati globali.

Oggi si parla molto di longevità come indicatore di sviluppo. In che modo lo stile di vita – e in particolare l’alimentazione – incide sulla nostra aspettativa di vita?

La longevità è uno dei principali indicatori di sviluppo sociale, più ancora che economico. I Paesi con un’aspettativa di vita più lunga sono quelli che hanno scelto di investire nella qualità della vita, nella prevenzione e nella salute pubblica. I fattori che influenzano questo parametro sono numerosi: ambiente, cultura, genetica, condizioni socioeconomiche. Un ruolo sempre più cruciale è affidato alla capacità di investire in ricerca e innovazione: è attraverso la scienza che si sviluppano soluzioni concrete per migliorare salute, alimentazione e qualità della vita. Su questo l’Italia può – e deve – fare di più: attualmente investiamo in ricerca e sviluppo solo l’1,43% del PIL, a fronte dell’1,98% della Cina e il 2,88% degli USA. Colmare questo divario, significherebbe rafforzare le basi della nostra salute futura e valorizzare il potenziale scientifico e produttivo del Paese.  

Ma è soprattutto lo stile di vita a fare la differenza: incide da solo per circa il 50% sull’aspettativa di vita, rendendolo il fattore modificabile più potente che abbiamo. Alimentazione e attività fisica sono in grado di attivare i nostri geni, come dimostra l’epigenetica. Ciò significa che anche chi ha una predisposizione genetica può migliorare la propria aspettativa di vita grazie a scelte quotidiane consapevoli.

In che modo la politica può contribuire a tutelare la salute pubblica?

La politica può influenzare – e modificare – tutti i fattori che incidono sulla longevità: l’ambiente, la cultura, l’accesso alla scienza, la mobilità e persino gli stili di vita. Investire, per esempio, nel verde pubblico, nelle piste ciclabili o in campagne culturali sull’alimentazione può fare la differenza per la salute pubblica. Ma attenzione: serve una politica intelligente. Intendo una politica che valorizzi la nostra cultura alimentare, non che la penalizzi con strumenti obsoleti e inefficaci come Nutriscore, tasse di scopo o dazi.

L’Italia ha un patrimonio unico: la Dieta Mediterranea. Non solo riduce il rischio di malattie cronico-degenerative, ma aumenta l’aspettativa di vita. Considerata non soltanto come un regime alimentare ma come una filosofia di vita equilibrata, è capace di integrare scelte alimentari, motorie e psicofisiche, orientando il cittadino verso comportamenti consapevoli. Oggi, però, nonostante l’interesse crescente a livello globale, l’aderenza alla Dieta mediterranea è in crisi. Si stima che meno del 15% della popolazione aderisca pienamente ai suoi principi. Le cause sono molteplici – ambientali, politiche, culturali, sociali – e stanno progressivamente minando uno degli elementi che ha reso l’Italia un punto di riferimento mondiale per la longevità. È vero, il nostro Paese resta ai vertici delle classifiche, ma non è più in cima.  

L’Italia è anche un esempio in tema di sicurezza alimentare. Quanto conta questo aspetto per la salute pubblica?

L’Italia, oltre a essere famosa per la salubrità della Dieta mediterranea, vanta una lunga tradizione in materia di sicurezza alimentare, con normative severe che ci hanno protetti da gravi crisi sanitarie. L’alimentazione è sana non solo per le sue proprietà nutrizionali, ma anche se è sicura nei processi che trasformano le materie prime in alimenti. Questa cultura della sicurezza, diventata parte integrante del patrimonio normativo europeo, rappresenta un asset fondamentale del Made in Italy. È la prova concreta di come la politica possa fare prevenzione, non solo economia.

E i dazi? Possono avere un impatto sulla salute, oltre che sull’economia?

Assolutamente sì. I dazi imposti su prodotti simbolo della Dieta mediterranea – come olio d’oliva, pasta o formaggi stagionati – non rappresentano solo una minaccia per l’economia italiana: sono un danno per la salute globale. Prendiamo il caso degli Stati Uniti: da un lato, come abbiamo visto prima, investono massicciamente in ricerca e sviluppo, dall’altro tassano proprio quei prodotti che potrebbero aiutarli a prevenire le principali malattie croniche. È un paradosso.

Chi impone dazi su questi prodotti non colpisce solo un comparto economico, ma priva i cittadini di un’opportunità di salute. Il Made in Italy non è soltanto un’etichetta: è un patrimonio culturale, scientifico e nutrizionale che merita di essere difeso anche – e soprattutto – per ciò che rappresenta in termini di salute pubblica.

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