Non Solo Neve, il Blackout in Abruzzo è Figlio della Cultura del NoUn estratto dell'articolo di Stefano Cianciotta per Il Foglio, 2 Febbraio 2017

Un estratto dell’articolo di Stefano Cianciotta per Il Foglio, 2 febbraio 2017

Il maltempo che ha colpito l’Abruzzo impone un cambio di paradigma nella Pa italiana, non solo nella costruzione di un’azione strategica con il coinvolgimento di tutti gli attori in campo per individuare i rischi potenziali di un territorio, ma anche nell’adozione di decisioni chiare nell’interlocuzione con le comunità locali. Questa ennesima pessima figura delle amministrazioni italiane, infatti, non è solo il frutto di una Pa incapace di pianificare e gestire le emergenze, ma anche di una lunga stagione del no, che continua a pregiudicare e ostacolare gli investimenti, in Abruzzo come nel resto d’ Italia.

Dal 2012, infatti, l’Abruzzo si conferma tra le prime cinque regioni italiane dove si contesta di più. Il Nimby forum, che dal 2004 fa il monitoraggio sui media nazionali e locali degli articoli pubblicati sul tema della contestazione alle infrastrutture, negli ultimi cinque anni ha collocato proprio l’Abruzzo subito dopo le regioni industrializzate del nord. In questa lunga e approfondita analisi del dissenso, l’ostilità delle comunità abruzzesi si è cronicizzata nel tempo, fino a toccare soglie critiche con il fenomeno No Triv.

In precedenza, infatti, erano stati proprio gli investimenti sulle infrastrutture energetiche di Terna a essere posti nel mirino delle associazioni ambientaliste, che avevano contestato la realizzazione di opere fondamentali per dotare il secondo polo dell’ Automotive in Italia (l’area della Val di Sangro) di quella energia sufficiente a produrre (il gap energetico dell’ Abruzzo è del 13 per cento).

Sia il cavidotto, che avrebbe unito Italia e Montenegro, e anche interventi locali ugualmente importanti per potenziare la rete nella dorsale adriatica Ancona -Foggia, sono stati sottoposti a un’azione continua di contestazione da parte dei comitati, che ha visto nelle istituzioni abruzzesi non un facilitatore del dialogo tra interessi contrapposti, ma una sponda per sostenere e dare fiato alle rivendicazioni dei cittadini. Il no alle trivelle, poi, è costato all’Abruzzo 2 mila e 500 posti di lavoro, con la riduzione drastica di un settore strategico dell’ industria che operava in regione dai primi del Novecento.

Senza sottrarre l’Enel alle sue responsabilità, il black-out dell’energia elettrica è figlio quindi di una pericolosa cultura del no a tutto, che dal 2001 ha fatto perdere all’Italia 474 miliardi di euro di investimenti, più o meno 40 miliardi all’anno, di cui 110 nel settore energetico e ben 220 in quello infrastrutturale (fonte Italia Decide).

In allegato l’articolo intero

IL_FOGLIO_02-02-2017

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