Start-Up Italiane. Storia di una Crisi di IdentitàL'idea di Competere
- 27 June 2017
- Posted by: Competere
- Category: News
“Voglio che la Francia diventi una start-up nation. Una nazione che pensa e si muove come una start-up. L’impresa è il futuro della Francia”. Macron ha un disegno, che punta sulle imprese, sull’innovazione e su una immigrazione di qualità con agevolazioni destinate a scienziati e ricercatori.
Con un trend di crescita del 63% anno su anno, la Francia è la nazione che più velocemente sta crescendo in Europa sul mercato delle imprese digitali. Solo nei primi due mesi del 2017 sono stati investiti 472 milioni in start-up francesi in 169 round di investimento. Stiamo assistendo ad una piccola rivoluzione culturale: nelle scuole si è cominciato ad insegnare la cultura di impresa, mentre nelle università fioriscono incubatori d’impresa accademici.
Mentre l’inquilino dell’Eliseo crea una start-up politica, che cresce e rottama – sul serio – i partiti tradizionali, mentre la Cina ospita l’incontro annuale del World Economic Forum accendendo i riflettori sulle imprese digitali e l’innovazione, in Italia non si scorgono né piani né disegni all’orizzonte.
Anzi, una nuova classifica racconta l’anomalia dell’ecosistema italiano delle start-up: Startup Europe Partnership. La fotografia è nitida, le start-up italiane non crescono. Sono solo 135 quelle che da start-up sono passate alla fase scale-up.
L’Italia è lontanissima dal podio, che vede al primo posto Regno Unito, Germania e Francia, con oltre mille scale-up di media. Inoltre davanti a noi ci sono altri 10 Paesi, molti dei quali con PIL inferiore e meno abitanti (Spagna, Olanda, Danimarca, Irlanda, Finandia e Svizzera). Ad analizzare le cause di questo gap incolmabile si finisce sempre per puntare il dito contro il sistema fiscale: senza una politica fiscale che incentivi gli investimenti in imprese innovative non ci può essere una crescita adeguata al mercato e alle potenzialità delle start-up italiane.
Ma il punto è anche un altro. Leggere che le start-up in Italia non crescono nonostante ce ne siano 7mila è un’affermazione vera a metà. Perché in Italia le start-up non sono 7mila. 7mila sono le aziende iscritte al registro delle start-up innovative, che è una definizione legittima ma tutta italiana. Se invece intendiamo le start-up come aziende capaci di scalare velocemente il mercato, in Italia queste aziende sono molte meno.
Ergo, se le start-up italiane non si comportano come start-up è semplicemente perché in gran parte sono micro imprese. Non che ci sia nulla di male, anzi l’obiettivo della normativa startup è sempre stato quello di scardinare un sistema giuridico anche a favore delle PMI tradizionali, purché però non si fondino norme e decisioni politiche su dati inquinanti.
I dati dell’OECD sostengono che il gap competitivo dell’Italia con la Germania è concentrato nelle nostre nanoaziende, che però hanno il 90% dei lavoratori. La sfida dimensionale delle nostre PMI deve diventare una priorità per il Paese perché l’Italia ha un debito verso di loro. Le imprese oggi devono crescere, devono mettersi in discussione anche guardando all’ecosistema di startup, devono studiare marketing, devono conoscere il loro settore ed internazionalizzarsi.
Siamo abituati ad ingannarci e ad indulgere nel buonismo. Abbiamo il più alto numero di micro imprese in Europa e ci siamo dimenticati delle loro esigenze facendo finta che siano tutte start-up. Allo stesso tempo, trattiamo le nostre start-up come fossero PMI. Il futuro richiede visione e coraggio (soprattutto politico) affinché esista uno spazio per startup e PMI, in cui il comun denominatore sia l’innovazione, non intesa solo come tecnologia ma soprattutto come modello di business.