Sustainable nutrition: ultimo miglio della transizione ecologicaDI ANTONIO PICASSO
- 21 May 2021
- Posted by: Competere
- Categories: highlights, News, Sustainable Nutrition
RECOVERY PLAN SOSTENIBILE MA SOLO IN PARTE
È atteso per giugno il voto del Parlamento europeo sulla relazione congiunta da parte delle Commissioni Agricoltura e Salute sul nutri-score. Nonostante la preoccupazione espressa da molte filiere produttive e dagli osservatori scientifici, l’Italia sembra poco interessata a questo appuntamento, che rischia di pregiudicare importanti e celebri eccellenze della nostra buona tavola. Disattenzione e superficialità. È questa l’estrema sintesi del sentiment che aleggia presso le istituzioni nazionali. La prima è riscontrabile in quel percorso di transizione ecologica che il Governo Draghi si è attribuito sia nelle specificità del Pnrr, sia nell’introduzione – giusta – di un ministero ad hoc. L’impressione che si ha è che Mario Draghi abbia colorato di verde le misure urgenti e strutturali che, da sempre, l’establishment di cui fa parte vorrebbe introdurre. Una tinteggiatura di cui però l’artefice non è davvero convinto, ma che ha fatto per necessità. Una mossa quasi di circostanza.
Tuttavia, la transizione ecologica implica che chi la affronta sia sinceramente convinto di portarla avanti e, di conseguenza, sia in grado di arrivare all’elaborazione pratica di una strategia di sostenibilità che non può limitarsi all’ambiente. Gli investimenti futuri nelle infrastrutture devono essere sostenibili per l’ecosistema. I piani di politica industriale devono essere sostenibili in termini finanziari. E così via. A ben rileggere queste affermazioni, si nota la grande assenza della sostenibilità umana. Ovvero quell’ultimo miglio che porta a compimento davvero il processo di transizione ecologica. Non si potrà mai parlare di sostenibilità ambientale, infatti, se le misure adottate non verranno prese a immagine e somiglianza dell’uomo. Quindi sostenibili per la sua esistenza, che è sintesi tra le sue esigenze e le risorse naturali a disposizione. Una corretta alimentazione, una altrettanto efficace (e capillare) campagna di lotta allo spreco alimentare, un’amministrazione rigorosa dei rifiuti e del loro riciclo. Questo è l’approccio pragmatico alla parte finale del processo di transizione ecologica che dobbiamo imboccare. Ma è una roadmap che manca. O che per lo meno sfugge. E qui si arriva alla superficialità.
NUTRI-SCORE: COMBATTERLO CON SOLUZIONI COSTRUTTIVE
Il Nutri-Score, come la più parte delle battaglie ideologiche su questi temi, nasce da alcune buone intenzioni: mangiare sano, non buttare via il cibo, prestare un minimo di riguardo per quel che si getta nel secchio della spazzatura. Ora, secondo il semplice motivo per cui uno spazio vuoto viene sempre riempito – soprattutto in politica – in mancanza di un processo formativo scientifico, di cui dovrebbero farsi carico le istituzioni, a colmare il gap ci pensano le ideologie, che intervengono con messaggi semplici e netti. Per esempio un semaforo. A pensarci bene anche questo è populismo. La superficialità sta quindi nell’assenza di comunicazione, da parte di istituzioni e forze produttive – non tutte, ad alcune va riconosciuto lo sforzo ostinato e virtuoso di non mollare la presa – che al contrario dovrebbero elaborare messaggi anch’essi chiari (alla stregua di un semaforo), ma propositivi.
E pensare che di materiale su cui impostare una campagna di formazione all’alimentazione – fatta non di divieti, bensì di inviti al buon mangiare – ce ne sarebbe. In una recente pubblicazione consultabile su Researchgate.net, Stephan Peters, responsabile delle strategie di nutrizione e salute per la Dutch Dairy Association (l’associazione olandese dei produttori caseari), afferma che non è riscontrabile alcuna variazione del comportamento d’acquisto da parte dei clienti di un supermercato sui prodotti che dispongono o meno le indicazioni del nutri-score. In altre parole, il consumatore compra i biscotti che gli piacciono, senza lasciarsi prendere dal panico per quanto sta scritto sulla confezione. E se anziché il panico provassimo a trasmettergli informazioni utili? Non tanto il piacere di mangiare biscotti – quello già lo fa il marketing – ma i benefici fisici che ne può trarre.
Proviamo infatti a far ciò che le istituzioni sembrano poco interessate a fare, cioè a essere propositivi. Cosa può impattare sul cliente invece del semaforo? Quale alternativa possiamo elaborare in sostituzione del freddo algoritmo? Invece del messaggio “non puoi mangiarlo perché ti fa male”, come si declina il suo esatto contrario? Vale a dire “mangialo! Ti fa bene”.
È una questione di comunicazione? Sì, ma non solo. Servono informazioni scientifiche chiare e incontestabili – la pandemia/infodemia ha dimostrato quanto sia complesso questo lavoro. È necessario definire politiche alimentari nel rispetto della sostenibilità ambientale – la transizione ecologica di cui sopra – ma anche di quella umana: l’ultimo miglio appunto, in cui non ci si può perdere in pregiudizi e rigidità, bensì affidarsi alla scienza e anche semplicemente al buon senso, con la trasmissione di informazioni utili. C’è tempo per tutto questo? Sì, se ci si affida alla competenza e se si lascia perdere l’appuntamento di giugno a Strasburgo.