Etichette fronte pacco: quella giusta rinforza l’autocontrollo del consumatoreDI ANDREA GHISELLI, COMITATO SCIENTIFICO DI COMPETERE

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Procurarsi alimenti più o meno salutari non è mai stato così facile nella storia dell’uomo. Per evitare che a rimetterci sia la nostra salute occorre rafforzare l’autocontrollo dei consumatori tramite un’informazione nutrizionale trasparente e corretta, a partire dalle etichette fronte-pacco. 

IL RAPPORTO CHE CAMBIA TRA UOMO E CIBO

La diffusione dell’obesità è uno dei problemi di salute principali che ci troviamo a combattere oggi e rappresenterà una delle maggiori sfide del futuro. La comunità europea, insieme a organizzazioni internazionali come Oms e Fao, si sta muovendo per identificare le strategie di mitigazione più opportune, che a sua volta necessitano la definizione dei determinanti delle scelte alimentari e dei comportamenti del consumatore.

Non c’è dubbio che il determinante maggiore sia costituito dalla enorme diffusione, disponibilità e appetibilità di prodotti ricchi di calorie, grassi saturi, zucchero e sale, a un costo fisico ed economico che non è mai stato così basso nella storia dell’uomo. Se da una parte è una fortuna l’essersi affrancati dalla fatica e dall’incertezza per la produzione di energia, dall’altra occorre cercare soluzioni opportune per non pagarne lo scotto con la nostra salute.

Alcuni interventi in questo senso sono mirati a limitare la disponibilità di certi alimenti, rendendoli più cari al consumatore o al produttore (per esempio con la sugar tax), riducendone la visibilità nei punti vendita, o ancora intervenendo sulla pubblicità. Un altro tipo di intervento tende invece a rinforzare l’autocontrollo dei consumatori, vale a dire dando loro la capacità di modulare la naturale spinta verso alimenti troppo ricchi, vitali un tempo, ma pericolosi nel mondo attuale, rinforzandone la razionalità e la conoscenza alimentare e scientifica.

Per questo motivo è in vigore già da diversi anni il regolamento europeo 1169 che impone l’obbligo di riportare una dichiarazione nutrizionale sul retro della confezione (back-of-pack) che permetta al consumatore di leggere il contenuto energetico e nutritivo del prodotto. Il regolamento rende possibile, ma non obbligatorio, riportare anche sulla parte anteriore dell’etichetta (front-of-pack) gli elementi più significativi della dichiarazione nutrizionale.

LE CRITICITÀ DEL NUTRISCORE

In questo ambito si pone quindi la discussione, a volte molto accesa, sul migliore sistema di etichettatura fronte-pacco. Nel corso degli anni diversi Paesi hanno proposto e testato sul consumatore diversi modelli, tra cui quelli basati sui colori del semaforo: verde significa “vai tranquillo”, giallo significa “attento” e rosso significa “fermati”. Un particolare successo in questo senso sta riscuotendo il Nutriscore, un sistema di discriminazione tra “buoni” e “cattivi” dotato di qualcosa in più rispetto al classico semaforo, perché oltre a considerare il contenuto dei quattro “big killer”, vale a dire calorie, grassi saturi, zucchero e sale, tiene anche conto di altri elementi presenti nel prodotto che in un certo senso ostacolano l’azione dei killer, la mitigano e sono quindi fattori premianti; questi sono la fibra, le proteine e la quantità di frutta e verdura. Si tratta di un vero e proprio sistema di “profilazione” degli alimenti, accompagnato da una grafica molto accattivante: ogni prodotto, indipendentemente dal suo ruolo nella dieta e indipendentemente dalla sua composizione in vitamine, minerali, additivi o conservanti, sarà caratterizzato da una lettera dalla A alla E, circondata da un colore, dal verde al rosso.

Questo tipo di etichettatura, secondo chi la propone, ottiene un duplice risultato: aiuta i consumatori a scegliere l’alimento “migliore” tra due prodotti dello stesso gruppo e, per competizione, indirizza i produttori verso la riformulazione dei prodotti in modo da poter esporre in etichetta un profilo più idoneo a farsi comprare.

Nonostante i buoni propositi, nella realtà il sistema risulta ingannevole per molti motivi. Primo fra tutti, è che non sempre riesce a far compiere la scelta migliore tra due prodotti dello stesso tipo. Ad esempio, un’insalata si può condire con dell’olio d’oliva oppure con un condimento costruito in laboratorio. Il Nutriscore, assegnando una C al primo e una A al secondo, ci spingerebbe verso il dressing, ma sarebbe veramente la scelta corretta? Assolutamente no, perché l’algoritmo, valutando 100 grammi di prodotto, non ha tenuto in considerazione che di olio ne basta un cucchiaino, mentre di dressing ce ne vorrà molto di più per avere un minimo di gratificazione sensoriale, portando quindi a un consumo totale maggiore dei nutrienti meno salutari.

L’olio d’oliva mette anche in risalto la negoziabilità del Nutriscore: quando nel 2017 venne ufficializzata l’etichetta, l’olio di oliva risultava color arancio, categoria D. In seguito alle legittime proteste, soprattutto dei Paesi produttori di olio di oliva, ma anche delle istituzioni e della comunità scientifica, è stato modificato l’algoritmo e, con abile mossa, ad agosto 2019 è stato inserito un nuovo fattore premiante: essere olio di oliva, di colza o di nocciola, che automaticamente assegna un premio di cinque punti. Con questo sistema l’olio di oliva è stato promosso a tavolino e oggi milita in serie C (giallo).

La preoccupazione più grande, però, è un’altra, legata all’autocontrollo del consumatore e alla falsa percezione di salubrità di un alimento caratterizzato dal colore verde. Solidi studi sui comportamenti dei consumatori hanno dimostrato che un’affermazione in etichetta che attribuisca una valenza salutistica a un alimento induce un aumento di consumo tra i soggetti normopeso quanto quelli in eccedenza ponderale, disincentivando alla lettura della dichiarazione nutrizionale. Si osserva inoltre un cosiddetto effetto alone, per il quale un alimento alleggerito di grasso si guadagna un’aura di salute in toto, anche se presentasse alti livelli di zucchero e sale.

Valutare la salubrità su 100 grammi, come fa il Nutriscore, vuol dire, in linea generale, dare un vantaggio a tutto ciò che viene generalmente consumato in porzioni superiori a 100, e punire tutti gli alimenti la cui porzione è inferiore. Succede quindi che una pizza, di cui consumiamo normalmente 350 grammi, ottiene un bel punteggio verde, imbrogliando l’autocontrollo e aiutandoci a giustificare il consumo di un alimento che, si sa, ci dà parecchia gratificazione, ma che è ricchissimo di calorie, di grassi e soprattutto di sale.

L’ALTERNATIVA? L’INFORMAZIONE CORRETTA

Contrariamente al Nutriscore, il Nutrinform, concepito dall’Italia, è un sistema di etichettatura oggettivo, educativo e informativo perché basato sulla rappresentazione grafica del contenuto effettivo di una porzione. Unico nodo è che l’assenza di colore che, nel migliorare l’oggettività, diminuisce chiaramente l’appetibilità da parte di consumatori e stakeholder. Rimane però una sistema valido per permettere al consumatore di trarre tutte le informazioni necessarie alla scelta dell’alimento, imparando quindi a cimentarsi col concetto di porzione e a valutarne la misura adatta.

Il concetto di porzione stesso deve però essere armonizzato a livello europeo e impartito ai cittadini. Chiedendo a una qualsiasi persona a quanti grammi corrisponda una porzione di pasta, di carne o di formaggio, ci renderemmo conto della mancanza assoluta di consapevolezza, almeno in Italia. I sistemi di etichettatura non possono e non devono sostituirsi ad una corretta educazione alla salute, compito innanzitutto delle istituzioni competenti, a cominciare dalle scuole dell’infanzia, e poi di altri strumenti come l’apposizione delle calorie sui menu dei ristoranti e la dichiarazione nutrizionale sull’etichetta dei prodotti confezionati. Avere consapevolezza e mantenere la giusta attenzione su determinati componenti o alimenti spingerà probabilmente il consumatore a contenere i suoi consumi nelle porzioni suggerite, limitando le quantità consumate di calorie, grassi saturi, zucchero e sale.

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