Alimenti sostenibili: too green to be true?BY FRANCESCO MONTANARI

L’articolo di Francesco Montanari è stato pubblicato sul quotidiano portoghese Journal de Negócios. Leggi la versione in italiano qui sotto o l’originale a questo link >>> 


La sostenibilità è un ambito in cui molte aziende hanno investito per potersi differenziare dai propri concorrenti e diventare così più competitive sul mercato. Ciò si è verificato anche nel settore agroalimentare, spesso e volentieri oggetto di feroci critiche da parte delle lobby ambientaliste per l’impatto negativo che ha in termini ambientali e di biodiversità. Oggigiorno, è frequente vedere annunci pubblicitari in televisione o etichette alimentari sugli scaffali dei supermercati che presentano i prodotti come ‘sostenibili’, ‘eco-friendly’ o ‘a impatto ambientale neutro’. In certi casi, invece, sono le attività dell’azienda che produce, trasforma o distribuisce prodotti alimentari a essere presentate come sostenibili.

Ma questi alimenti sono davvero sostenibili? Oppure non è altro che marketing che fa leva sulla coscienza ambientale o etica dei consumatori, senza tuttavia possedere solide basi scientifiche? In quest’ultimo caso, si parla di greenwashing, ovvero di pratiche commerciali che sfruttano in modo improprio l’immagine positiva che la sostenibilità generalmente conferisce ai prodotti a cui viene associata.

In tale contesto, bisogna riconoscere che per la stragrande maggioranza dei consumatori non è facile capire se ci si possa fidare delle decantate caratteristiche ambientali di certi alimenti che si trovano in commercio. È per questo motivo che, a livello europeo, sono attualmente in discussione diversi progetti di legge che mirano a porre fine alle pratiche di greenwashing, così da garantire una maggiore protezione dei consumatori.

Pertanto, in futuro, un’azienda che produce merluzzo non potrà limitarsi ad affermare, in modo generico, che i suoi prodotti sono rispettosi dell’ambiente, senza specificare a quali aspetti della filiera o a quali impatti ambientali faccia riferimento in concreto. Allo stesso modo, un’impresa che commercializza banane difficilmente potrà affermare che la propria attività non produca emissioni o sia ‘amica del clima’, poiché il trasporto di quei frutti verso i mercati di esportazione contribuirà inevitabilmente alla produzione di emissioni di gas a effetto serra.

Inoltre, prima che un’azienda possa fare asserzioni ambientali nella pubblicità dei propri prodotti o apporre un marchio di sostenibilità sulle confezioni, un ente indipendente dovrà verificarne la validità. Ciò avrà, pertanto, un impatto su alcuni marchi di sostenibilità già presenti sul mercato – tra cui la rana della Rainforest Alliance, l’albero del Forest Stewardship Council, il pesce del Marine Stewardship Council e la certificazione Fairtrade – che dovranno apportare le modifiche necessarie per conformarsi a questa futura legislazione.

Infine, la legislazione europea in corso di elaborazione intende limitare la creazione di schemi nazionali di etichettatura semplificata che classificano gli alimenti in base alla loro sostenibilità, ossia replicando  l’approccio del (controverso) Nutriscore: cinque lettere e colori che forniscono informazioni semplici e immediate sul profilo nutrizionale di un alimento, senza che il consumatore si debba sforzare a decodificare le informazioni complesse e articolate che figurano attualmente sulle etichette alimentari. Mentre entro la fine di quest’anno la Commissione europea dovrebbe presentare una proposta legislativa per introdurre un sistema di etichettatura nutrizionale obbligatorio e armonizzato da posizionare sul fronte delle confezioni (FoPL, Front-of-pack labelling), per quanto riguarda l’etichettatura ambientale l’intento è invece quello di impedire che schemi di certificazione di recente sviluppo (come l’Ecoscore e il Planet Score) continuino a esistere.

Di fronte a questo scenario un po’ caotico, le imprese del settore alimentare devono prepararsi a un quadro regolatorio che, nel medio termine, limiterà considerevolmente la loro libertà di comunicazione in materia di pratiche ambientali.

A mio avviso, questo non deve essere visto come un attacco alla libertà di espressione della comunicazione aziendale. La legge, di fatto, garantisce – e continuerà a farlo – che nel marketing e nella pubblicità si possano impiegare termini o espressioni deliberatamente esagerati o che i consumatori non devono prendere alla lettera, poiché questa è, in fondo, la ragion d’essere di queste pratiche.

In conclusione, comunicare la sostenibilità presenta difficoltà maggiori e principalmente per due motivi. Dal un lato, la sostenibilità è un tema complesso, che i consumatori hanno molta difficoltà a comprendere e che è già stato oggetto di varie pratiche abusive nel mercato europeo. Dall’altro lato, è un tema di grande importanza sociale ed economica per il futuro del nostro pianeta e pertanto non dovrebbero verificarsi situazioni in cui beni di largo consumo, come gli alimenti, vengono pubblicizzati come sostenibili quando in realtà non sono tali.

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