Burocrazia vs scienza: a rischio l’economiaL'IDEA DI PIETRO PAGANINI

Le contraddizioni della transizione ecologica dell’Unione europea sono molte. Per quelle più note – per esempio le commodity agricole extra Ue legate ai processi di deforestazione – si sta già cercando una soluzione. Altre, che ancora restano fuori dai riflettori mediatici, rischiano di compromettere intere filiere strategiche per la nostra economia. È il caso degli oli essenziali.

Gli oli essenziali di rosa, bergamotto, lavanda oppure Argan, pur essendo derivati da fonti naturali come piante, alberi e arbusti, contengono molecole chimiche che, secondo l’Ue, dovrebbero essere etichettate come “pericolose”, vietando o comunque condizionando l’intero prodotto. 

REGOLAMENTO CLP: COSA PREVEDE?  

Le nuove proposte della Commissione Ue per la modifica del regolamento Classificazione, Etichettatura e Imballaggio (Clp) prevedono l’introduzione di un’etichettatura informativa sui prodotti a disposizione dei consumatori, in cui siano valutati i composti molecolari.

L’obiettivo, infatti, è dichiarare in modo esaustivo le sostanze chimiche utilizzate dall’industria cosmetica per ridurre o eliminare quelle che causano tumori, effetti sul sistema riproduttivo, o che colpiscono il sistema immunitario, neurologico o respiratorio e le sostanze chimiche tossiche per un organo specifico.

BUONE INTENZIONI, MA POCO REALISTICHE  

Sulla scia del messaggio “Zero emission”, l’Ue si assume il nobile impegno del “toxic-free environment”. Tuttavia, la strada resta poco praticabile.

Senza il supporto di alcuna ricerca scientifica, infatti, il Clp rischia di mettere al bando prodotti contenenti oli essenziali, in quanto non più esaminati come uniche sostanze bensì come aggregati chimici. La classificazione di prodotti rischiosi per la salute verrebbe attribuita perché un elemento chimico è pericoloso in quanto tale, ma non a seguito di un rilevamento scientifico effettuato su un campione di consumatori.

UNA FILIERA DA DUE MILIARDI DI EURO, IN CRESCITA    

Burocrazia batte scienza uno a zero, quindi. Con un gol segnato dalla prima anche sull’economia. Nel 2019, la filiera europea degli oli essenziali – in cui Francia e Italia sono protagoniste – ha registrato un fatturato complessivo di circa 2 miliardi di euro. Dopo la pandemia, che ha fatto da acceleratore alla transizione ecologica, il mercato è cresciuto al punto che se ne prevede un incremento fino a 4 miliardi già nel 2026. Stiamo parlando di un asset produttivo che coinvolge major del settore del calibro di Chanel, L’Oreal, L’Occitane – per citare le griffe più illustri – quanto piccoli produttori. Il bergamotto in Calabria, la lavanda in Provenza, l’olio di rosa in Romania e quello di limone in Spagna sono una fonte essenziale per la competitività delle imprese familiari di singoli territori. E mentre le grandi case della cosmesi hanno già pronto un piano B – ovvero tornare alle componenti sintetiche, quelle derivate dal petrolio, in barba alle politiche green europee – le Pmi rischiano di trovarsi costrette a dichiarare sull’etichetta che la loro materia prima – fino a ieri la quintessenza del bio – oggi “nuoce gravemente alla salute”. Come le sigarette!

Le intenzioni sono buone se si reggono su soluzioni realistiche. Per questo bisogna perseverare nell’avere fiducia nei confronti dell’Ue. Una revisione del Cpl è auspicabile. Coinvolgendo gli esperti del settore, è essenziale promuovere una regolamentazione basata su dati scientifici accurati e valutazioni del rischio approfondite, al fine di garantire la sicurezza dei consumatori, senza compromettere l’industria e l’occupazione.

Rileggi Oli essenziali: la burocrazia vince sulla scienza >>>

Articolo pubblicato su Pensalibero.it

 

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