Cervello a scoppio… ritardatoL'IDEA DI PIETRO PAGANINI

La decisione del Parlamento europeo di vietare la vendita di auto che emettono CO2 (i mezzi con il tradizionale motore termico) dal 2035 ha scatenato le proteste di molti osservatori e dei rappresentanti dell’industria e delle associazioni di categoria. Ha sconcertato anche molti che si definiscono “liberali”. 

LA STORIA SI RIPETE        

Dopo poche settimane, la storia si ripete. Fu così anche per la recente proposta di riformare la Direttiva per l’Efficienza Energetica degli Edifici.

PERCHÉ È IMPORTANTE?     

La decisione delle istituzioni europee è dirompente. Molte delle novità che la regola impone sono certamente discutibili (a cominciare dal fatto di non essere stata veramente discussa in anticipo tra i cittadini come tale). 

Tuttavia, la scelta non è campata per aria e segue una logica precisa che si inserisce nel quadro generale di riforme intrapreso negli ambienti verticistici dell’attuale quadro istituzionale (Consiglio, Commissione, Parlamento). 

Pertanto l’atteggiamento di sconcerto, seppure giustificato e accettabile, dimostra la paura del cambiamento non tanto da parte dei cittadini quanto di gruppi partitici e di organizzazioni di categoria che spesso rappresentano e proteggono posizioni di rendita prima che un diverso approccio culturale. 

NESSUNA SORPRESA      

Insomma, come per la proposta di riforma per l’Efficienza Energetica per gli Edifici, o il bando della plastica monouso, o molte altre riforme intraprese dalle istituzioni europee, sbagliamo a sorprenderci. Non sono decisioni improvvise del Leviatano brussellese. 

La scelta di bannare i motori a scoppio dal 2035 rientra nel piano più generale del Fit55 al cui interno il settore dei trasporti resta l’unico ad avere aumentato le emissioni di gas serra (+25%) rispetto al 1990. Il trasporto su strada rappresenta il 72% (2021) di tutte le emissioni del settore dei trasporti. Pertanto, la scelta di intervenire era quanto meno doverosa.

ITALIA ASSENTE 

I meccanismi alla base del processo decisionale europeo, soprattutto per il ruolo della Commissione, sono ancora poco rappresentativi e, quando lo sono, adottano una logica di funzionalità tipica delle democrazie nordiche. Le incongruenze e le contraddizioni sono tante e irritanti ma lo spazio di rappresentanza dei cittadini è ampio

In questo caso, il voto finale del Parlamento che attende il sostegno formale del Consiglio è l’ultimo passaggio di un un lungo percorso, anche di studi e analisi scientifiche, nel quale i rappresentanti degli italiani hanno avuto modo partecipare e intervenire (se attenti). Italia e italiani sono bene (almeno numericamente) rappresentati in Europa. Piangere ora è sciocco.

E GLI ALTRI… 

Negli altri paesi UE, come Francia e Germania, o i nordici, le scelte europee sono spesso criticate ma in un contesto di confronto democratico, cioè di partecipazione. In Italia le subiamo come se ci fossero imposte.

Questo comporta che altre regioni sfruttano meglio le situazioni di cambiamento o addirittura sono loro ad animarlo. 

La burocrazia brussellese non è certamente immune all’ideologia e alle ingerenze di gruppi minoritari spesso finanziati dalla Commissione o da fondi UE in un ciclo vizioso. Tuttavia, ci sono paesi, Germania per esempio, che sono capaci di operare presso le istituzioni in cui sono e siamo rappresentati, influenzandone visione, missione, obiettivi, strategie e atteggiamenti. L’Italia non sa farlo e non si preoccupa nemmeno di provarci.

AGENDA SETTING 

La regola di dismettere i motori tradizionali è meno drastica di come è raccontata dai media e dai politici. Il pacchetto di regole propone una serie di passaggi intermedi e soprattutto di sostegno economico e tecnico alle imprese che devono affrontare il cambiamento. Possono non soddisfare in un’ottica di politica industriale ma sono ciò che collegialmente (Italia compresa) si è stabilito.

ANCORA UNA VOLTA…  

Media e politici suonano l’allarme a cose fatte: si preoccupano della soluzione individuata da altri piuttosto che del problema (anch’esso posto da altri). 

Sarebbe opportuno che media e politici si impegnassero a seguire i cosiddetti dossier brussellesi da subito, o ancor meglio, fossero loro a sottoporli all’opinione pubblica come fanno la Francia (deforestazione zero, per esempio) o la Germania (plastica).

LA CAPACITÀ SI FARE MEGLIO C’È

Sulla riforma delle etichette fronte pacco per esempio, ci si è mossi bene, seppure in ritardo e con la solita autoreferenzialità provinciale. Ma anche qui, non vi è un progetto italiano a sostegno dell’industria alimentare sennonché la difesa di vaghi interessi di rendita.

CHE FARE?

Più che lamentarsi sarebbe utile sfruttare l’opportunità di cambiare, senza ulteriori ritardi. Se non si è certi delle scelte attuali è urgente avanzare nei tempi dovuti le proposte alternative. 

Dall’Italia non sono giunte proposte alternative all’elettrico né ci si è mobilizzati per un programma industriale adeguato di investimenti e innovazione. È un comportamento conservatore sterile, che oltretutto agevola parecchio la propensione culturale che senza dubbio serpeggia nei corridoi UE.

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>> Leggi Auto Elettrica: un dossier da campagna elettorale <<

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