Commodity agroalimentari: analisi dell’andamento dei costiDI LUCA BELLARDINI

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I dati che seguono sono tratti da tradingeconomics.com

Dal 23 febbraio all’11 marzo, il prezzo di alcune tra le commodity agricole maggiormente legate a Russia e Ucraina hanno subito aumenti considerevoli: quasi il 17% il grano, più dell’11% il mais; sull’olio di girasole non sono disponibili dati recenti, ma parliamo di un considerevole aumento (+25-30%) a partire dall’inizio dell’anno (fonte). Per quanto riguarda la soia invece, di cui l’Ucraina è tra i 10 maggiori produttori mondiali ma con uno share modesto, ha subito una variazione di prezzo davvero limitata (+1%).

Con un orizzonte temporale più lungo, scopriamo come le tensioni russo-ucraine — prima ancora dell’invasione di Mosca — avessero già determinato un’impennata dei prezzi delle commodity legate a questo territorio, una tendenza opposta a quella di materiali come cacao e caffè provenienti da oltreoceano. La crisi geopolitica è arrivata sugli strascichi di quella pandemica, quando gli indici delle commodity agricole quanto minerarie non erano ancora tornati ai livelli del 2019.  

Per le materie prime agricole però, la guerra ha un’incidenza ancora maggiore del Covid, il che suggerisce che il problema non è soltanto nelle strozzature di produzione e distribuzione, ma anche nell’attesa che il consumo possa subire impennate improvvise. In questo senso, il tentativo spontaneo di vari cittadini di accaparrarsi derrate alimentari anche in assenza di razionamenti — per adesso limitato nella sua estensione — non fa ben sperare. Nonostante molte voci della Gdo abbiano tentato di contenere gli eccessi di allarmismo, si teme il ripetersi di quel fenomeno, già vissuto all’inizio della pandemia nel 2019, tale per cui i consumatori finali venivano presi da un panico ingiustificato.

Tutto questo è riconducibile a un problema comune: il timore che, in tempo di guerra, l’intera filiera delle commodity agroalimentari venga sottoposta a una pressione fortissima. A sua volta, questo è certamente legato a doppio filo alla lunghezza di tale filiera. Il fatto che quest’ultima possa essere sensibilmente ridotta per i prodotti cerealicoli, ma non per quelli “tropicali”, potrebbe contribuire a spiegare la diversa sensibilità dei prezzi di questi macro-gruppi.

Il fatto che crisi come Covid e guerra abbiano fortemente limitato il commercio internazionale rende difficile per i Paesi europei guadagnare le quote di mercato perdute dall’Ucraina, a causa delle devastazioni, e dalla Russia, per effetto delle sanzioni. Per quanto sia ancora presto per avere dati affidabili sui flussi di import/export, è infatti plausibile che le tensioni internazionali stiano portando a una sensibile riduzione dei traffici, dato l’innalzamento delle barriere non-commerciali (es. burocratico-amministrative). 

Quello che può sorprendere è che, nonostante la finanza sia stata spesso additata come l’origine di tutti i mali, il corso delle commodity oggi riflette in maniera precisa e sostanziale l’andamento della produzione e del commercio. Il problema quindi non è finanziario e pertanto anche la soluzione deve essere “reale”. Il cambiamento di abitudini di consumo e modelli di business in direzione “circolare” è indubbiamente auspicabile. Peraltro, visto che le ricadute maggiormente negative di tale evoluzione potrebbero in teoria verificarsi sul commercio internazionale, un periodo come quello attuale è probabilmente uno dei più favorevoli per accelerare sulla transizione. 

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