Criptovalute e Blockchain: Opportunità e DubbiFlavio Notari
- 27 March 2018
- Posted by: Competere
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Non ci sono dubbi che il termine “valute” * (o “criptovalute”, per i geek) non deve intendersi volto a definire la natura degli strumenti oggetto di analisi.
Le 1.582 valute virtuali, scambiate su 9.676 mercati differenti per una valorizzazione complessiva pari a $341.925.152.537 (dati marzo 2018) non rappresentano, in forma digitale, le comuni valute a corso legale, non sono emesse o garantite da una banca centrale o da una autorità pubblica e generalmente non sono regolamentate. Da questo ne consegue, ovviamente che le criptovalute non hanno corso legale e pertanto non devono, per legge, essere obbligatoriamente accettate per l’estinzione delle obbligazioni pecuniarie, ma possono essere utilizzate per acquistare beni o servizi solo se il venditore è disponibile ad accettarle. Sono, pertanto, assimilabili a commodities, ovvero a beni merce.
In Italia, attualmente, l’acquisto, l’utilizzo e l’accettazione in pagamento delle valute virtuali debbono ritenersi attività lecite; le parti, infatti, sono libere di obbligarsi a corrispondere somme anche non espresse in valute aventi corso legale. Sul punto, ovviamente, considerate le incertezze e le valutazioni in corso a livello internazionale circa le modalità con cui regolamentare e sottoporre a vigilanza il fenomeno, non si può fare a meno di richiamare l’attenzione degli utilizzatori sui rischi insiti nella fruizione e nell’investimento in valute virtuali.
Ad oggi, però, la gamma degli istituti giuridici offerti dall’ordinamento, non è sufficiente a fornire una compiuta disciplina dei sistemi di pagamento fondati sulle criptovalute, data la loro matrice di natura tecnologica.
È proprio la tecnologia alla base delle criptovalute che ha, di fatto, creato un paradigma che si discosta totalmente dai modelli finanziari ed economici ai quali siamo abituati. Non richiede un’autorità centrale che emetta o controlli la “moneta”, il valore è costantemente in fluttuazione, dipendendo esclusivamente dall’attività degli operatori, non richiede intermediari, non crea potenzialmente inflazione e le transazioni lasciano una traccia indelebile.
Il meccanismo della blockchain, sin dall’origine, prevede, infatti, che tutte le transazioni siano sempre registrate su un database pubblico, il distributed ledger, che ha la duplice funzione di confermare la transazione e di impedirne la possibilità di duplicazione. L’aggiornamento del ledger è effettuato alla rete P2P che condivide e convalida le operazioni, con la metà più uno dei nodi. Alcuni dei nodi che costituiscono la rete si impegnano, a fronte di una commissione, nella “estrazione” (attività di mining) di nuove unità di criptovaluta, tramite l’esecuzione di complessi algoritmi.
Le criptovalute sembrano rappresentare uno degli oggetti di maggior interesse sul panorama nazionale ed internazionale. In questo scenario, dove le fluttuazioni vertiginose del loro valore sui mercati non regolamentati determinano a tratti significativi incrementi nel potere d’acquisto e nella conseguente capacità contributiva di una larga schiera di soggetti, sta diventando sempre più pressante l’esigenza di regolamentare il fenomeno.
Ma al di là delle speculazioni sulle valute virtuali, è la tecnologia sottostante che rende particolarmente interessante tale mondo, poiché rappresenta un’opportunità i cui ambiti di applicazione possono essere i più vasti a beneficio di molteplici settori “tradizionali”.
Gli attuali intermediari dei servizi, che desiderano avere un vantaggio competitivo sul mondo di domani, dovrebbero provare a utilizzare le potenzialità della nuova tecnologia ed apprezzare la stessa in termini di efficienza, sicurezza, rapidità e semplificazione burocratica.
Creando un linguaggio comune tra sistemi tradizionali e nuovi strumenti, sarebbe, infatti, possibile conciliare i sistemi informatici decentralizzati con le garanzie di rispetto delle leggi, supervisione e vigilanza offerte dalla governance e dagli intermediari tradizionali.
Non è solo il mondo della finanza, dove il denaro, le azioni, le obbligazioni e i titoli potrebbero essere gestiti e scambiati mediante la tecnologia blockchain, ma ampi settori come quelli dell’identità digitale, ad esempio nel riconoscimento dei rifugiati, o nelle operazioni relative alla gestione dei passaggi di proprietà dei beni immobili per certificare la veridicità delle informazioni, oppure, ancora, in tutte quelle situazioni in cui è richiesto un elevato controllo sulla trasparenza e sulla sicurezza, come le votazioni a scrutinio pubblico o, infine, nel ticketing.
La tecnologia, come sempre, non rappresenta una minaccia alla sopravvivenza per quelle organizzazioni che saranno capaci di cavalcare il nuovo paradigma tecnologico.
* La valuta virtuale è una “rappresentazione digitale di valore, non emessa da una banca centrale o da un’autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente” (cfr.: art.1, del dlgs 25 maggio 2017, n.90).