Dove e Perché si Sente il Bisogno di un “Governo dei Competenti”L'articolo di Lorenzo Castellani per Il Foglio
- 26 October 2017
- Posted by: Competere
- Category: News
Sono due le forze di trasformazione che dominano la politica occidentale: il populismo, cioè movimenti politici radicalizzati che vogliono ribaltare le politiche della globalizzazione, e la tecnocrazia, quei corpi non elettivi, nazionali e sovranazionali, i cui membri sono selezionati per competenza con la funzione di gestire alcune aree della politica. Se per il primo fenomeno si versano quotidianamente fiumi d’inchiostro, del secondo, al contrario, si parla molto meno.
Tuttavia, come un recente sondaggio della Pew Research Center dimostra i cittadini delle democrazie sono sempre di più alla ricerca della competenza in politica. Se la democrazia rappresentativa resiste come migliore forma di governo in quanto il 75 per cento degli intervistati dimostra di preferirla ad altri regimi, la democrazia diretta, promossa in gran parte dai nuovi movimenti populisti, sembra farsi largo con due terzi degli intervistati che si esprime a favore del voto diretto.
Tuttavia, la democrazia mostra la sua debolezza nel mondo occidentale quando ai partecipanti al sondaggio viene chiesto se sono pronti ad essere “committed”, cioè a impegnarsi, per la difesa della democrazia. Ad eccezione della Svezia nessun altro paese supera il 50 per cento di intervistati disposti ad impegnarsi per difendere il regime democratico. L’Italia si posiziona perfettamente sulla media europea con un tasso di commitment per la democrazia del 37 per cento, insieme a Francia, Regno Unito e Germania. Sempre in Italia il 17 per cento dichiara di riporre fiducia nei confronti di un governo di militari, il 29 per cento nei confronti di una leadership forte (dato più alto tra le democrazie europee), mentre il 40 per cento esprime ancora fiducia verso un governo di tecnici.
La tecnocrazia sembra farsi largo tra i giovani, tra questi mentre la fiducia negli esperti è passata, dal 1990 a oggi, dal 36 al 49 per cento la fiducia nella politica tradizionale è passata dal 74 al 42 per cento in Europa e dal 52 al 31 per cento negli Stati Uniti. Il 23 per cento degli americani nella fascia tra i 16 e i 24 anni ritiene che la democrazia esprima un governo “pessimo”, mentre tra gli europei questa valutazione è al 12 per cento. La fiducia verso i tecnocrati, inoltre, aumenta esponenzialmente nelle democrazie più giovani o fragili.
In Stati come Libano, Vietnam, Ungheria, Russia, India e Turchia la fiducia verso gli esperti è largamente superiore al 50 per cento. La fotografia che emerge dal sondaggio pare essere abbastanza omogenea: le cosiddette democrazie deboli aspirano ad un “governo di competenti”, capaci di gestire le complessità della globalizzazione e guidare lo sviluppo della nazione, invece le mature democrazie occidentali sembrano volgere lo sguardo verso due direzioni opposte cioè la tecnocrazia da un lato e la democrazia diretta dall’ altro.
Di questo fenomeno si sono occupati diversi studiosi importanti. Parag Khanna, saggista di fama mondiale, ha coniato il concetto di “tecnocrazia partecipata”, volto a coniugare il governo dei competenti con la partecipazione diretta dei cittadini attraverso le nuove tecnologie. Il politologo Nathan Gardels, invece, ha scritto cinque anni fa un libro molto dibattuto in cui sosteneva l’opportunità di creare una camera di esperti capaci di pensare alle politiche nel lungo periodo. Jonathan Boston suggerisce di isolare alcune decisioni dalla politica democratica proprio per prevenire decisioni improntate sul breve periodo. Fare, dunque, quello che si è fatto con le banche centrali per quanto riguarda la gestione della moneta. Tematiche come sistema pensionistico, infrastrutture, ambiente, energia potrebbero essere sottratti alle volontà capricciose della politica (e dei referendum) per essere affidati a corpi non elettivi di esperti capaci di condizionare le scelte politiche e la loro implementazione.
Gli ultimi anni dimostrano, inoltre, che in alcuni paesi, come l’Italia e la Grecia, i tecnici si siano dovuti sostituire alla politica per superare un momento di impasse della democrazia parlamentare, a testimonianza di come quando la legittimità della politica entra in crisi, la tecnocrazia possa svolgere una funzione di supplenza. Sembriamo navigare, dunque, verso l’era del tecno-populismo. Una trasformazione politica derivante dalla pressione esercitata dalla tecnocrazia e dai nuovi movimenti populisti sulle istituzioni al fine di ottenere la promessa di cambiamenti radicali nelle politiche pubbliche e la sostituzione dell’attuale classe politica con una nuova.
In questo contesto si determina l’attrito tra le proposte efficienti, razionali e impopolari della tecnocrazia e la proposta di cambiamento democratico, perciò a tratti istintivo, umorale, irrazionale, dei nuovi partiti contro le politiche e le istituzioni della classe politico – burocratica espressione dei partiti tradizionali. Così la democrazia sembra sempre più frazionata fra poteri che frenano, come le corti costituzionali, le burocrazie e le istituzioni internazionali, e poteri che accelerano, come la leadership politica e i nuovi movimenti populisti. Nel governo misto di oggi s’intersecano, nel lessico del politologo statunitense Alasdair Roberts, la “logica della democrazia” ossia la politica alla ricerca del consenso con modalità, strumenti e forme nuove fornite dalla società e dalla tecnologia e la “logica della disciplina”, che esprime quelle istituzioni non elettive volte a disciplinare il politico attraverso l’ emanazione di regole, direttive e policy come Banche centrali, autorithy, regolatori globali e burocrazie sovranazionali. Questi due elementi tendono a raccordarsi tra loro e mostrano proprio come la democrazia non possa essere universalizzata, ma si scontri sempre con l’ animo non democratico degli individui e delle comunità umane. A seconda del contesto storico, le componenti del governo misto possono avere maggiori o minori frizioni seppure una tensione tra queste due anime è sempre presente nella politica democratica.
La sfida futura delle democrazie liberali sarà contemperare il bisogno di un potere pubblico più efficace, cioè capace di amalgamare la “logica della disciplina” prodotta dai mercati globali e dal neoliberalismo con una “logica della democrazia” sempre più stressata dagli effetti disordinanti del “politico”. La ricerca di questo nuovo equilibrio permetterà alle democrazie liberali di salvarsi mantenendo sistemi capaci di produrre ricchezza diffusa e, allo stesso tempo, di poggiare su una forte legittimazione politica.