È l’ora del nucleare, per un’Europa non più sotto scaccoDI ANTONIO PICASSO E BENEDETTA ANNICCHIARICO

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Sorpresa dalla morsa della quarta ondata pandemica, l’Europa sembra non accorgersi di un problema strutturale che rischia di soffocarne sia l’identità quanto le ambizioni di crescita future. Soprattutto quelle più visionare, nel campo della sostenibilità ambientale. Un problema a tre dimensioni, di carattere geopolitico, sociale ed economico.

FORTEZZA EUROPA

Il dramma dei profughi bloccati alla frontiera polacco-bielorussa dovrebbe costringerci ad aprire gli occhi sulla natura dei nostri interlocutori che, in senso orario, letteralmente circondano il nostro continente. Russia, Bielorussia, Turchia e poi ancora – lasciando da parte l’instabile Medio Oriente, di cui fa eccezione Israele – Egitto, Libia e Algeria. Emerge un filo conduttore che fa di questi Paesi una minaccia omogenea alla “Fortezza Europa”. Si tratta di regimi autoritari, guidati da leader la cui longevità politica è facilmente discutibile, oppure Stati inequivocabilmente falliti, o ancora crogioli di corruzione e violenza. Tutti hub di partenza di flussi migratori verso le nostre città. in questo caso alla lista si aggiunge la Tunisia. Tutti fornitori di derrate energetiche indispensabili per la ripresa del manifatturiero europeo.

L’Europa è circondata? Vista così, sì. Non c’è ombra di dubbio. Lo schema del ricatto del resto è semplice: tu hai bisogno del mio gas e del mio petrolio, quindi mi lasci fare a casa mia come voglio io. Sia in termini di questioni domestiche – nel senso che la democrazia resta fuori dalla porta – sia per le politiche migratorie. Tuttavia, uno stallo alla messicana si sblocca o quando parte un colpo, oppure quando uno dei giocatori si accorge del bluff altrui. E quello energetico è l’unico tavolo che si può dimostrare fallace.

(INTER)DIPENDENZE

Sulla base delle ambizioni green di Bruxelles, è lecito chiedersi quanto la nostra dipendenza energetica da questi prepotenti vicini sia reale o percepita. Basti pensare che la minaccia di Lukashenko di interrompere il passaggio di gas russo in transito verso l’Europa è stato sedato direttamente dal Cremlino. Chiudi il gasdotto che vende un quinto di tutto il gas russo e vedi che ti succede. Infatti, se è vero che l’approvvigionamento di gas in Europa dipende in larga parte da Gazprom, è altrettanto vero che noi siamo di gran lunga i suoi maggiori acquirenti. E che il 60% del Pil russo dipende dall’export energetico. Che ne sarebbe di Putin e delle precarie condizioni socio-economiche della Russia se un’Unione Europea autosufficiente smettesse di essere sua cliente? La domanda è sempre meno retorica considerando il piano di decarbonizzazione che Bruxelles ha in mente e che prevede abbandono progressivo dei combustibili fossili e massiccio sviluppo delle fonti rinnovabili. Alla luce di queste ambizioni, chi ora ci fornisce di gas e petrolio dovrebbe preoccuparsi, piuttosto che mantenere quei toni tanto aggressivi, corredati dall’inaccettabile strumentalizzazione di migranti assiderati alle porte dell’Unione.

L’ORA DEL NUCLEARE

Da parte europea, il dossier nucleare, a integrazione delle altre fonti alternative, va più che ponderato. Non basta infatti osservare con inerzia – e forse invidia – come la Francia, i cui reattori producono il 70% del fabbisogno energetico domestico, possa permettersi una linea esplicitamente più muscolare, nei confronti di un qualsiasi leader del mediterraneo, di quanto non facciano Italia o Germania. Quello di Parigi è un modello da condividere. 

È giunto il momento di rendersi conto che l’Europa può fare a meno dei suoi fornitori di idrocarburi. La nostra scarsità di combustibili dovrebbe indurci ad accelerare nei piani di investimento in risorse rinnovabili. Il processo di transizione energetica è urgente non solo per ragioni di sostenibilità ambientale. Ma ha anche uno schietto fine geopolitico.

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