Europa: quando la burocrazia sbaraglia la concorrenzaL'IDEA DI ANTONIO PICASSO

L’Unione europea dichiara guerra commerciale alla Cina e mobilita la sua arma che ritiene più efficace. La burocrazia. È della scorsa settimana la divulgazione del documento con cui la Commissione Ue identifica le aree di sicurezza strategica. Contestualmente l’Europarlamento ha approvato il regolamento di istituzione dello Strumento anticoercizione (Aci).

Intelligenza artificiale, semiconduttori per automobili, biotecnologie: queste e altre sono le aree cruciali che, secondo Bruxelles, rappresentano sia il canale lungo cui si consumerà la concorrenza industriale e tecnologica con Pechino, sia i settori innovativi più esposti al pericolo di utilizzo militare da parte di un regime antidemocratico, com’è appunto la Cina.

IL DILEMMA DELL’EUROPA         

L’obiettivo è doppio: neutralità tecnologica e preservazione dei diritti universali che costituiscono la struttura valoriale della nostra Europa. Tuttavia, l’operazione non è immune da contraddizioni. Sia interne sia sul fronte della politica internazionale.
Nel processo di transizione ecologica, si è accentuato quel fenomeno binario che rappresenta, da sempre, il capitalismo. Ovvero l’interscambio tra know how, in mano ai mercati occidentali, con le materie prime, di cui sono ricchi gli altri mercati. Questi ultimi, più o meno avanzati, ma comunque nella maggior parte dei casi posizionati tra l’Asia e l’Estremo oriente. È da secoli che maharaja, sultani, o sceicchi ci permettono l’estrazione di commodity fondamentali per la nostra industria e noi esportiamo a loro beneficio ferrovie, scuole e competenze militari.

AUTO E AGRIFOOD, I DUE SETTORI A RISCHIO. PER ORA

Sul fronte interno, l’esempio dell’auto elettrica è il primo che viene alla mente. L’Europa vuole mettere al bando il motore a scoppio, alimentato da fonti energetiche provenienti da Est, e intende sostituirlo con batterie o altri metodi di propulsione che comunque richiedono materie prime – litio, gallio e germanio, per citarne alcune – praticamente inesistenti sul nostro territorio. Un paradigma simile lo si può intravvedere nell’agrifood, dopo che la guerra tra Russia e Ucraina ha messo in discussione la fornitura più o meno monopolistica di grano e semi di girasole da quei Paesi, si è assistito al ripristino di filiere di approvvigionamento più resilienti, ma che si ritenevano non più necessarie. È il caso dell’olio di palma.

CINA VS UE: APPROCCI INTERNAZIONALI A CONFRONTO    

La seconda contraddizione riguarda il quadrante internazionale. La Cina è infatti partner commerciale di 120 Paesi. Con molti di questi, mantiene un rapporto spregiudicato, impostato esclusivamente sul diritto di sfruttamento delle risorse naturali in loco, a costi di lavoro irrilevanti e con la possibilità di installare le proprie infrastrutture – strade, ferrovie e impianti estrattivi – senza curarsi minimamenti né dei diritti umani né della sostenibilità ambientale. Queste invece restano condizioni determinanti per l’Ue. Non si fa affari con noi se non si rispettano regole dall’alto contenuto morale. Nonostante la giustezza dell’approccio, questo è un problema. Lo si osserva, per esempio, in Africa, dove i tentativi di exporting democracy hanno fatto più morti dell’Aids – mi spiace metterla dura, ma tant’è – e le autocrazie locali si dimostrano più inclini a fare affari con Pechino, che fa pochi scrupoli, invece che con Bruxelles, dove un accordo economico va in porto dopo una lunga trattativa, fatta di normative e due diligence. Il Cbam e l’Eudr sono un esempio di come appunto la burocrazia comunitaria abbia la meglio sulla concorrenza e sui suoi vantaggi – sul piano di innovazione tecnologica, sviluppo industriale e sostenibilità – che potrebbero essere condivisi dai Paesi esportatori di commodity quanto dai mercati di trasformazione.

QUAL È L’ALTERNATIVA PER L’EUROPA?    

La domanda si può porre riflettendo su entrambi i paradossi. La transizione ecologica richiede un contributo di materie prime extra europee, che per quantità, può essere paragonato solo alla domanda di risorse naturali che furono necessarie alla prima rivoluzione industriale e all’affermazione del capitalismo. Il fenomeno portò al colonialismo, che oggi è irripetibile. Di conseguenza, con chi possiamo interfacciarci a livello commerciale, tenendo fuori dai giochi la Cina, ma presentandoci come un’alternativa altrettanto competitiva?

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Image credits: courtesy of Plast Magazine >>>

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