Il ritorno della food inflation, un rischio per il mercato globaleAbbracciare la complessità per un domani più sostenibile.

I prezzi delle commodities alimentari stanno continuando a crescere molto rapidamente. Erano anni che non si osservava questa tendenza di inflazione materie sulle prime alimentari, la cosiddetta food inflation. Prima della crisi pandemica sui mercati si era osservata per lungo tempo una fase di stabilità, poi lo shock di Covid-19 ha fatto crollare i prezzi. Già però a partire da maggio 2020, e in modo più sostenuto, da ottobre dello scorso anno, i prezzi delle materie prime si sono alzati vertiginosamente.

IL RUOLO DEL FOOD PRICE INDEX

Il principale indice che tiene traccia di questi cambiamenti è il Food Price Index della FAO. L’agenzia delle Nazioni Unite ha notato un +18% in 7 mesi. Tali valori non venivano registrati da quasi dieci anni. Sono paragonabili infatti a quelli del 2013. Cioè a quelli di poco dopo l’inizio della crisi economica di fine anni 2000. L’aumento del costo delle commodities coinvolge tutti i tipi di materi prime, ma in modo più verticoso stanno salendo i prezzi degli oli vegetali. Fa eccezione però la carne che soffre della riduzione del potere d’acquisto subito da vaste fasce di consumatori a causa della recessione economica.

COME SIAMO ARRIVATI ALLA FOOD INFLATION

La violenta caduta dei prezzi dei mesi di febbraio e aprile del 2020 è stata causata dalla rapidissima discesa della domanda interna dovuta ai vari lockdown nazionali. Nonostante le difficoltà pandemiche anche nelle catene produttive il sistema ha retto e sono state così smentite le previsioni e i di impennate sui prezzi. Vi è stata, al contrario, una deflazione in questa fase che ha coinvolto anche il  prezzo del petrolio sceso ai minimi. Già dall’inizo dell’estate questo trend si è interrotto con il risultato che a ottobre si è potuto osservare già un completo riassorbimento del precedente calo dei prezzi.

Secondo molti osservatori  quella attuale non è un’inflazione dei beni alimentari transitoria foriera di un ritorno a livelli pre-covid. Seconod diversi osservatori è altamente probabile che la pandemia abbia causato cambiamenti permanenti nei comportamenti dei consumatori che si ripercuoteranno ancora a lungo nel mercato.

Stanno aumentando vertiginosamente i prezzi delle materie prime, come mais e soia, ma anche frumento, orzo. Di settimana in settimana si registrano infatti continui rialzi, facendo lievitare i costi di produzione legati soprattutto all’alimentazione del bestiame.

Dal 12 al 19 gennaio il mais ha registrato, in base al listino della Borsa merci di Milano, un aumento di 21 euro a tonnellata arrivando a 223 euro. Il frumento è salito di 18 euro, l’orzo di 7 euro, la soia di 15, la paglia di 5 euro.

Per molti allevatori i costi delle razioni sono quindi aumenti di oltre il 12% e a questo problema spesso si aggiunge per le aziende lattiere e caseari la contrazione del prezzo del latte.

Anche il cotone ha visto un’impennata nei prezzi arrivando a oltre 330 euro alla tonnellata. Dell’aumento dei costi di produzione e se ne, dovuti alla food inflation, se ne stanno facendo carico in questo momento gli allevatori, ma sempre più a gran voce stanno chiedendo un aumento del prezzo del latte.

PERCHÉ STA SUCCEDENDO

Ma perché i prezzi stanno aumentando? La risposta potrebbe essere nella scelta di Cina, India e Brasile, che in questi mesi stanno facendo ampie scorte alimentari. Pechino dopo i mesi più duri della pandemia (febbraio-aprile 2020) ha avviato un piano aggressivo di ricostituzione delle scorte. Questa azione ha coinvolto anche il settore dell’allevamento e quindi quello cerealicolo. Così come va notato il raddoppio degli ordini di grano dai Paesi medio-orientali e del Nord-Africa spinti da motivazioni simili a quelle cinesi. Un simile comportamento si era visto durante le crisi valutarie degli anni ’90 in Asia.

Altro capitolo da sottolineare è l’influenza dei cambiamenti climatici che negli ultimi anni sta diventando sempre più centrale nella riflessione sulle catene produttive alimentari. Siccità e anche il raffreddamento ciclico delle acque del pacifico (chiamato Niña) stanno causando difficoltà notevoli in special modo per la filiera legata al grano e al riso. Una delle nazioni più colpite da questo fenomeno è la Federazione Russa.

La fascia dei Paesi più esposti ad un rialzo dei prezzi delle commodities alimentari, e quindi alla cosiddetta food inflation, è concentrata tra il Medio Oriente e l’Africa settentrionale, già teatro dei grandi disordini nel 2011-12. Mentre i grandi Paesi esportatori sarebbero tra le economie che più potrebbero avvantaggiarsi dalla food inflation.

Paradossalmente invece la durissima recessione in atto stanno spingendo i grandi esportatori a politiche protezionistiche. E ciò sta provocando la riduzione dell’offerta globale nel momento sbagliato.

 

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