Il ciclo della sabbia di fonderia: un esempio di economia circolareDI benedetta annicchiarico

Nell’immaginario collettivo, in uno scenario post-apocalittico, di quelli che in inglese vengono definiti “industrial wasteland”, è onnipresente lo skyline di ciminiere fumanti, simbolo oramai datato di un passato industriale. L’industria pesante, a cui si attribuisce grossa parte della responsabilità del riscaldamento globale a partire dal suo sviluppo nel diciottesimo secolo, è spesso considerata sinonimo di inquinamento e degradazione ambientale. Ma siamo proprio sicuri che sia ancora così?

IL CICLO DI VITA DELLA SABBIA

Come ogni altro settore produttivo, anche la grande industria si sta adattando al nuovo paradigma della transizione ecologica, mitigando ove possibile i suoi effetti collaterali sulla qualità dell’ambiente in cui opera. Prendiamo, a titolo di esempio, le fonderie metallurgiche e le sabbie lì impiegate per realizzare le forme in cui viene colato il metallo fuso, che vengono poi distrutte per estrarre il prodotto stesso. Anche se gran parte delle sabbie viene riutilizzata internamente per realizzare nuove forme, una quota in eccesso rispetto a quella recuperata deve essere scartata, ed esce quindi dal ciclo produttivo come esausta.

Questo materiale può però avere seconda vita ed essere riutilizzato, in alternativa all’impiego di materie prime vergini, da processi industriali che utilizzano inerti naturali. Fra questi, la produzione di cemento, di ceramiche, di vetro, di conglomerati per l’edilizia, di conglomerati bituminosi, di laterizi e mattoni o la realizzazione di rilevati e sottofondi stradali. Tramite processi di rigenerazione che mitigano il consumo di risorse e l’emissione di carbonio è possibile ottenere un materiale simile se non superiore a quello vergine e limitare così l’introduzione di nuovo materiale nel ciclo produttivo, favorendo invece la logica della circolarità.

BEST PRACTICE DI CIRCOLARITÀ

A questo proposito, la Regione Lombardia ha recentemente pubblicato nuove linee guida per la gestione delle terre di fonderia, ricevute positivamente dalle industrie locali e dalle associazioni nazionali, che facilitano la certificazione della gestione responsabile delle sabbie esauste. Si stima che il loro riutilizzo possa portare, nella sola Lombardia, a un risparmio di 5000 tonnellate di CO2 l’anno (estrarre sabbia vergine genera infatti emissioni pari a circa 42 kg di CO2eq per tonnellata) e a un sostanzioso benefit economico dovuto alla riduzione dei costi legati all’approvvigionamento di sabbie vergini e allo smaltimento di quelle esauste.

Andando oltre l’esempio della sabbia, le fonderie di Assofond sono da anni impegnate nell’inverdimento delle varie tappe del processo produttivo. Fra le prime in Europa, le fonderie italiane hanno da tempo avviato il processo di sostituzione dei forni alimentati a carbon coke con quelli elettrici e introdotto soluzioni tecnologiche in grado di accrescere la quota di materiale di recupero utilizzato nella carica dei forni, che supera oggi il 70%, e di ridurre le emissioni di polveri, calate di oltre il 70% negli ultimi vent’anni, anche grazie al reinvestimento da parte delle imprese in progetti ambientali.

Non c’è dubbio che ci sia ancora molta strada da fare per minimizzare l’impronta ambientale dell’industria pesante. Ma il ciclo della sabbia e altre pratiche di sostenibilità dimostrano che l’innovazione lungo i processi produttivi, adeguatamente supportata dalle politiche pubbliche, può rendere un settore così indispensabile – di posizione centrale nelle più importanti filiere produttive – non solo compatibile con gli obiettivi climatici, ma uno strumento chiave per la transizione ecologica dell’intera economia.

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