Industria 4.0, le quattro aree dove l’Europa si gioca il futuro

Di fronte alle sfide poste dalla competizione e dall’Industria 4.0 le risposte non sono semplici né immediate. Le politiche Ue devono concentrarsi sulla creatività individuale e favorire la “deviazione dal sentiero”, ma le imprese devono essere pronte al cambiamento. Ecco le 4 macro-aree su cui confrontarsi.

a crescente automatizzazione sta cambiando il sistema produttivo e gli strumenti per competere nello scenario internazionale sono sempre più complessi.

Proprio questa complessità sembra essere uno degli ostacoli maggiori per la crescita dei sistemi economici, in particolare per quelli periferici e caratterizzati da profonda frammentazione come l’Italia.

L’Industria 4.0 è, come tutti gli agenti di cambiamento tecnologico, un primo passo verso la quarta rivoluzione industriale (che ancora non esiste) che sta trasformando le modalità con cui imprese e operatori si muovono nei mercati globali.

Ma le direttrici del cambiamento non sono solo quelle emergono dal dibattito pubblico, ossia i timori legati alla perdita di occupazione e gli impatti economici e sociali della sharing economy. In una società sempre connessa le trasformazioni avvenute e quelle in divenire sono trasversali e multisettoriali e manca un confronto su molte questioni che hanno un impatto importante sull’ecosistema economico e sociale e che sono strettamente connesse con i crescenti livelli di digitalizzazione e di automatizzazione.

A seguito di tali cambiamenti in atto, la politica industriale è stata interpretata come nuovo motore della crescita e come punto di ripartenza dopo la crisi economica del 2008. Nell’ultimo decennio sono emersi, sia a livello Europeo sia a livello nazionale, diversi “piani”, “cabine di regia”, “strategie” e politiche pubbliche con l’obiettivo di rilanciare la produzione e la produttività del settore privato. In alcuni casi esse hanno funzionato, si veda la Germania, ma anche il colosso cinese e gli Stati Uniti, in altri hanno avuto effetti parziali.

È il caso dell’Italia dove questi processi stentano ad espandersi e spesso rimangono confinati entro alcune realtà: i grandi gruppi industriali oppure le cosiddette “eccellenze” locali.

Le PMI, ossia circa il 95% del tessuto produttivo italiano, scontano spesso la mancanza di visione e anche di figure manageriali in grado di accompagnare la trasformazione digitale e anticipare gli scenari futuri. A questo si aggiunge la minore possibilità di sostenere investimenti di grande portata e rinnovabili nel tempo, nonché una propensione inferiore a sostenere le attività di ricerca e sviluppo. Questi problemi sono noti e vengono più volte sottolineati nei report e persino nel mondo accademico.

Nel dibattito italiano il tema è stato incentrato fondamentalmente sugli effetti della robotizzazione e computerizzazione nel mondo del lavoro, in grado di generare fenomeni diffusi di sostituzione e precarizzazione. Anche la sharing economy è stata ammantata da un’aura negativa dai settori tradizionali che, ragionevolmente, si sentono minacciati da nuovi modelli di processo e prodotto.

Ma, come dicevamo, i temi su cui confrontarsi sono anche altri.

Il volume “Europa 4.0 – Il futuro è già qui”, curato dall’associazione Prospettiva Europea e dalla rivista Europalab cui ha partecipato anche il think tank Competere, analizza la trasversalità e la multisettorialità delle trasformazioni avvenute e di quelle in divenire, in una società sempre connessa. Possiamo individuare così 4 macro-aree su cui la politica e gli attori economici dovranno confrontarsi: la società on demand, l’interconnessione, nuovi modelli di business e nuove competenze, la cybersicurezza.

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