Italia e Corea del Sud: i vantaggi commerciali di due nazioni amicheL'IDEA DI LUCA BELLARDINI
- 6 September 2022
- Posted by: Competere
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«La Cina è vicina», dice un gioco di parole. Eppure, guardando ai dati e spostandoci di poco, la Corea del Sud non è da meno. Oggi Roma è un esportatore netto nei confronti di Seul, ma anche le importazioni hanno raggiunto livelli significativi.
UNA PANORAMICA GENERALE
I dati “grezzi” forniti dall’agenzia delle Nazioni Unite per il commercio (UNCTAD), non aggiustati per l’inflazione, raccontano che nel 2020 — nonostante l’effetto dirompente della pandemia — il Belpaese ha fornito beni alla sua controparte asiatica per un controvalore di 6 miliardi di dollari, ricevendone 3,4; nel 2021, anno di forte ripresa, l’export aveva raggiunto quota 7,1 miliardi e l’import 4,8. Il saldo della bilancia commerciale, ancorché lievemente diminuito nell’ultimo anno di cui siano disponibili i dati a consuntivo, resta dunque superiore ai 2 miliardi. A partire dal 1995, d’altronde, il valore del won sudcoreano rispetto alla valuta italiana ha oscillato abbastanza: per paradosso, raggiungendo un picco negativo proprio nel 2009, poco prima che la Corea diventasse importatrice netta. Un insegnamento emerge con chiarezza: bisogna essere prudenti prima di attribuire alla dinamica del tasso di cambio il destino dei commerci tra due Paesi.
… E IN TERMINI RELATIVI?
Ma quanto vale l’interscambio in termini relativi, per esempio rispetto al Pil di ciascun Paese? Quanto al denominatore, le due economie hanno dimensioni simili in termini di output nominale complessivo (nel 2021, circa 1.800 miliardi di dollari la Corea del Sud, 2.100 l’Italia), anche se pro capite la «tigre asiatica» è molto più produttiva. Tuttavia, le differenze sono anche al numeratore: una qualsiasi coppia di Paesi, infatti, misurerà la medesima transazione commerciale con metodi anche profondamente diversi tra di loro: un buon dato, perciò, si ottiene facendo la media tra esportazioni italiane e importazioni sudcoreane, come pure tra importazioni italiane ed esportazioni sudcoreane. I dati che seguono si riferiscono soltanto ai beni (merchandise).
Premesso questo, nell’orizzonte 1995-2021 l’export verso la Corea del Sud ha rappresentato lo 0,20% del Pil italiano e (misurato come importazioni dall’Italia) e lo 0,41% di quello sudcoreano; l’import costituisce lo 0,18% del primo e (misurato come esportazioni verso l’Italia) lo 0,32% del secondo. Rispetto ai flussi commerciali con l’Asia orientale nel suo complesso — cioè gli Stati membri dell’Asean più Cina, Giappone e Corea del Sud — l’incidenza di Seul varia tra il 12,8% e il 15% sull’export italiano, fra l’8,6% e il 9,8% sull’import: una quota estremamente significativa, se pensiamo che la controparte pesa sull’Asia orientale per poco più del 6% in termini di popolazione. L’analisi di lungo periodo conferma che l’Italia è un esportatore netto molto più verso la Corea che verso l’Asia orientale nel suo insieme (rispetto alla quale pesano le cospicue importazioni dalla Cina): l’export rappresenta il 51,6% del totale nel primo caso, soltanto il 39,3% nel secondo.
MERCATO DEI SERVIZI E INVESTIMENTI DIRETTI ESTERI
Rispetto ai beni materiali, nel periodo 2010-2020 lo scambio italo-coreano di servizi è stato molto più contenuto: a prezzi costanti relativi all’anno 2015, inoltre, i flussi di import ed export sono stati pressoché equivalenti, attestandosi ciascuno sui 320 milioni di dollari annui. Rispetto alla classificazione fornita dall’UNCTAD, il segmento residuale — che include i servizi finanziari — è stato largamente prevalente in entrambe le direzioni, seguito dai viaggi nell’export italiano (segno di come il Belpaese eserciti una certa attrazione sui turisti coreani) e dai trasporti nell’import.
I dati OCSE sugli stock di investimenti diretti esteri (FDI) nell’orizzonte 2013-2020 ci dicono che le persone fisiche o giuridiche italiane posseggono in Corea investimenti più massicci di quanto i loro omologhi asiatici detengano nella Penisola. Lo stock di attività appartenenti a soggetti italiani in Corea è sempre cresciuto, con l’eccezione del 2014: a fine 2020, nonostante il rallentamento globale, toccava il massimo storico superando quota 1,2 miliardi di dollari ai prezzi del 2015, laddove il valore degli investimenti coreani in Italia — anch’esso sempre ampliatosi, con due sole battute d’arresto nel 2015 e nel 2019 — tornava a sfiorare gli 800 milioni. Guardando al tasso composto annuo di crescita (CAGR) di tali stock, appare evidente come la reciproca compenetrazione di FDI tra i due Paesi abbia avuto negli ultimi anni una notevole accelerazione: dal punto di vista italiano: più del 13% annuo per gli investimenti in uscita, oltre il 14% per quelli in entrata.
MA CHE COSA VIENE SCAMBIATO?
Utilizzando una classificazione basata sulle 13 voci “primitive” del sistema usato comunemente per la merceologia delle transazioni commerciali (SITC), troviamo che — nell’orizzonte 1995-2021 — il 30,8% dell’export italiano verso la Corea del Sud e addirittura il 40,1% di quello coreano verso l’Italia ha riguardato macchinari e materiale da trasporto, dunque perlopiù autoveicoli; il 14,5% fibre, tessuti e abbigliamento (5,9% dell’import), il 12,8% prodotti chimici (13,2%). Per quanto riguarda le importazioni italiane, hanno superato il 5% del totale anche la componentistica elettrica ed elettronica (13,3%), nonché il ferro e l’acciaio (11,7%). Se il settore automotive è dunque un fattore di notevole vicinanza e interdipendenza fra le due economie, nel commercio bilaterale la vocazione italiana sembra appuntarsi sull’industria leggera o che comunque richieda investimenti soprattutto in marketing e manodopera qualificata, come la moda, o ricerca e sviluppo, come la farmaceutica. Simmetricamente, la Corea del Sud mostra una vocazione per i segmenti a più elevata intensità di capitale fisico e che comportino la trasformazione industriale delle commodity inorganiche, come l’elettronica e la metallurgia.
… QUINDI, IN CONCLUSIONE?
È evidente, perciò, quanto complementari siano questi due Paesi. Avere soltanto dati aggregati sui volumi monetari degli scambi non ci consente di determinare se e chi detenga un qualche vantaggio — «assoluto» o «comparato» che sia — in una certa produzione, ma i numeri parlano da sé. Il fatto che gli scambi italo-coreani abbiano già resistito a tre grosse crisi — finanziaria asiatica, a fine millennio; finanziaria globale, nel 2008-9, e globale da Covid-19, nel 2020 — indica con chiarezza quanto siano resilienti e preziosi, con evidenti benefici per ambo le parti.