L’Italia Non Riparte. Tre Scenari per il FuturoL'idea di Competere
- 23 May 2017
- Posted by: Competere
- Category: News
La crescita economica italiana resta debole. Gli ultimi dati confermano una sostanziale stagnazione. Nonostante la recessione sia alle spalle, l’economia fatica a crescere. Il resto d’Europa invece, fa decisamente meglio, anche se diversi indicatori restano incerti.
Tra dicembre 2016 e febbraio 2017 la produzione industriale è cresciuta solo dello 0,7%; ad aprile 2017 i prezzi al consumo sono aumentati dell’1,8% rispetto allo scorso anno, mentre l’indice del clima di fiducia dei consumatori è calato dal 107,6 al 107,5 di marzo. Solo il commercio estero ha dimostrato maggiore dinamicità: le esportazioni sono cresciute del 3,7 per cento e le importazioni del 5,6 (Istat Aprile 2017).
I problemi sono i soliti:
Rigidità strutturali. Alti livelli di debito limitano gli investimenti e la crescita della produttività. Inoltre, l’invecchiamento della popolazione ha ridotto i consumi facendo aumentare i risparmi.
La crescita è bassa. Senza le riforme il potenziale si riduce. Negli ultimi 20 anni, il Pil è cresciuto a una media annuale dello 0,46%.
La disoccupazione è cronica. La disoccupazione mantiene i salari fermi e i redditi reali stagnanti. A marzo 2017, il tasso di disoccupazione è salito all’11,7% e rimane al di sopra dei livelli pre-crisi e della media della zona euro (9,5%).
Il debito pubblico continua a crescere. Ossia il secondo più alto della zona euro, dopo la Grecia. I 20 miliardi stanziati per le ricapitalizzazioni precauzionali delle banche in crisi peseranno ulteriormente sulle finanze pubbliche.
Il sistema bancario è in difficoltà. Per i necessari aumenti di capitale servono 40 miliardi di euro (suppergiù il 2,5% del Pil). Va ricostruito l’intero settore e per evitare ulteriori interventi pubblici vanno rimessi in ordine i bilanci degli istituti in crisi, risolvendo le sofferenze.
I rischi politici aumentano. Il Governo Gentiloni è percepito come provvisorio e troppo debole per attuare riforme efficaci, mentre forze euroscettiche ed antisistema sono in ascesa.
L’aiuto della BCE non è eterno. Le banche rischiano di ottenere meno finanziamenti dalla BCE: nel decidere quanto credito erogare, è Francoforte a tenere conto dei rischi della garanzie prestate e la misura del rating più alto fra quelli delle quattro principali agenzie.
Uno sguardo strategico ai prossimi dieci anni lascia pochi dubbi: la situazione è destinata a cambiare. E nel lungo periodo, gli scenari possibili sembrano essere tre:
Scenario 1 – In assenza di riforme, l’uscita dall’euro verrà evitata grazie ad una progressiva condivisione dei rischi a livello Europeo, attraverso meccanismi gli Eurobonds, l’unione bancaria e lo schema unico di assicurazione dei depositi. Il processo sarà lento e implicito: la Germania accetterà la mutualizzazione senza dichiararlo esplicitamente, e i soldi tedeschi arriveranno in cambio di un rafforzamento della leadership di Berlino.
Scenario 2 – Riforma dell’Unione Europea e attuazione di riforme incisive in Italia. In un’Europa ripensata, il Governo potrebbe migliorare la competitività a lungo termine e ad attrarre investimenti, aumentando la crescita potenziale.
Scenario 3 – Uscita dall’euro. Il fragile contesto politico, la mancanza di riforme e l’impossibilità stabilizzare il rapporto tra debito e Pil possono portare al potere istanze populiste ed euroscettiche e tenere lontani gli investitori. L’uscita dall’euro comporterebbe con ogni probabilità un default e la ristrutturazione del debito pubblico, con conseguente collasso del sistema bancario.
L’inerzia è forte: i prossimi anni saranno caratterizzati da rischi politici elevati e crescita economica moderata. L’esito più probabile è lo scenario 1. Ma lo scenario 2 non è impossibile: eventi quali Brexit e l’elezione di Trump possono creare un “sentiment d’urgence” e divenire opportunità per: 1) ripensare il progetto europeo, riformandone e rafforzandone le istituzioni; 2) cambiare i Trattati (anche se questo richiede l’unanimità, la ratifica nei Parlamenti nazionali e – in alcuni Paesi – un referendum); e 3) creare le condizioni per investire attuando il piano Juncker. In presenza di tali fattori di crescita esterni, l’economia italiana potrebbe svilupparne di interni, attraverso riforme strutturali efficaci.