Italia Traballante, Rischi Politici e Crescita BassaDi Lorenzo Castellani

In termini di PIL l’Italia perde terreno dai maggiori players europei. Secondo il World Economic Outlook del Fondo Monetario Internazionale la crescita prevista per il 2017 e 2018 sarà solo dello 0,8%. L’Eurozona crescerà mediamente più del doppio (1,6% e 1,7%), la Spagna crescerà del 2,6% e del 2,1%, la Germania dell’1,6 e 1,7, persino la Francia che oggi versa nel massimo stato d’incertezza dato da uno scenario elettorale incerto crescerà di più (1,4% e 1,6%). Il Regno Unito, nonostante Brexit, crescerà del 2% nel 2017 e dell’1,5% nel 2018 cioè più di Italia, Francia e Germania.

Passiamo ad analizzare, con l’aiuto prezioso dell’amico Davide Burani nel raffronto e commento dei numeri, il trend sugli Investimenti Diretti Esteri, elemento che “misura” l’attrattività di un Paese verso gli investitori industriali.

Secondo AT Kearney, società di consulenza strategica che annualmente elabora il FDI Confidence Index sugli IDE, gli investimenti esteri subiscono una battuta d’arresto rispetto al 2015 a causa dell’annuncio di politiche protezionistiche e delle numerose tensioni geopolitiche presenti a livello globale. Secondo le analisi svolte, la governance (stabilità politica) e le “regulatory issues” (liberalizzazioni, burocrazia, certezza del diritto) acquisiscono un peso sempre maggiore nelle decisioni d’investimento. In un mondo sempre più VUCA (Volatility, Uncertainity, Complexity, Ambiguity), la capacità di analizzare e conoscere gli scenari politici e regolatori diventa sempre più importante per pianificare gli investimenti aziendali.

A ulteriore conferma di quanto detto sopra, tra i “wild-card events” possibili nel corso dell’anno, l’aumento delle tensioni geopolitiche è il principale per il 32% del campione, con particolare attenzione da parte degli investitori europei.

L’Italia, nel FDI Confidence Index 2017, occupa la tredicesima posizione. Ha guadagnato tre posizioni rispetto al 2016, ma ne ha persa una rispetto al 2015. Tuttavia, i principali competitors europei si trovano davanti al nostro Paese: la Spagna è undicesima, la Francia settima, il Regno Unito quarto e la Germania seconda. Stati Uniti stabili al primo posto. Nonostante Trump e i suoi annunci, nell’ultimo anno crescono gli investimenti diretti esteri negli USA, mentre scendono quelli nell’Unione Europea, probabilmente a causa dell’effetto “panico” generato da Brexit, come si evince anche dalle possibili decisioni di “migrazione” da parte di alcune multinazionali USA (in special modo nel settore finanziario). Il maggior grado di fiducia degli investitori quest’anno si manifesta proprio verso il Nord America e l’Asia Pacifica.

Aumenta anche l’ottimismo degli investitori rispetto alla situazione economica. Grande il balzo di fiducia negli USA in cui il 45% degli investitori vede prospettive migliori per i prossimi tre anni se comparate con lo scorso anno, i pessimisti sono solo il 18%. In Italia, gli ottimisti (26%) superano di poco i pessimisti (20%). In Francia gli ottimisti sono il 30% contro il 19% dei pessimisti, in Spagna il 28% di ottimisti supera il 17% di pessimisti e nel Regno Unito, il paese dell’uscita dall’UE, chi vede il bicchiere mezzo pieno (31%) supera chi lo vede mezzo vuoto (26%).

Il bicchiere italiano può essere visto mezzo pieno o mezzo vuoto, ma le incertezze sul futuro restano elevate. La crescita resta bassa, la volatilità politica molto elevata. L’Italia sembra essere un giano bifronte: la maschera buona mostra un settore industriale manifatturiero che secondo l’ISTAT a Febbraio è tornato a crescere ai livelli più elevati degli ultimi 14 mesi e le esportazioni che secondo SACE cresceranno del 3,8% quest’anno, mentre la maschera cattiva cioè il sistema politico-burocraticoincapace sia di garantire stabilità sia di implementare politiche efficaci per la crescita.

Gli ultimi tre anni hanno mostrato come le patinature e le riforme furiose di Matteo Renzi si siano infrante sugli scogli della realtà. Non basta fare decreti-legge per riformare un Paese, ma servono studio, monitoraggio, lavoro di squadra, valutazioni ex post, cultura organizzativa. La riduzione ad legem, per soddisfare le esigenze comunicative, delle riforme è stato un grave errore. Così come perseguire alcune strategie patologiche e ricorrenti del sistema italiano: assumere e stabilizzare precari nella Pubblica Amministrazione, affossare la spending review, dare priorità agli individui già occupati nelle riduzioni fiscale invece che alle imprese e ai disoccupati. Purtroppo è cambiato il governo, ma il trend è rimasto stabile.

Non solo, ma le forze politiche d’opposizione non sembrano disegnare alcuna strada alternativa a quella del maggiore deficit pubblico, maggiore spesa pubblica, radicale riduzione della pressione fiscale (un trittico che non può funzionare). Qualsiasi argomento di buon senso e sostenibilità economica sembra essere uscito dal raggio delle proposte dei partiti italiani. La razionalità ha abbandonato definitivamente il campo da gioco della politica.

E prima o poi bisognerà scontrarsi con la realtà:

Confrontando i dati elaborati dal FMI e quelli del DEF, emerge una differenza di 0,3% di crescita del PIL nel 2017 e di 0,2% nel 2018. Conto veloce: 5 miliardi di euro di differenza nel 2017, 3,3 nel 2018 per un totale di 8,5 miliardi in meno rispetto a quelli conteggiati dal Ministero dell’Economia e Finanza (a titolo informativo, la “manovrina” di rientro vale 3,4 miliardi…). E’ evidente che, dal punto di vista dei conti pubblici, siamo in affanno visto che continua il vizioso rapporto tra bassa crescita (i peggiori in Europa nel 2017) e alta spesa pubblica (che continua ad aumentare anche secondo il DEF).

Una curiosità: ma i 47 miliardi – fondo secondo Matteo Renzi costruito nella Legge di bilancio – di cui si parla per gli investimenti pubblici dove sarebbero? Perché sempre nel DEF le spese in conto capitale stagnano, mentre le spese correnti aumentano(dai 715,5 miliardi nel 2017 ai 746,4 nel 2020 per un incremento del 4,3%, ma la spending review? Ah, saperlo…).

Gli scenari all’orizzonte non sembrano confortanti, soprattutto se la legge elettorale dovesse restare invariata: chiunque arrivi primo rischia di non governare. Non solo, ma una possibile affermazione del Movimento 5 Stelle come primo partito potrebbe porre in essere una dinamica in grado di sconquassare tutti gli equilibri: il referendum sull’euro.

A questo punto, se ci fossero i numeri, cosa potrebbe impedire un accordo tecnico tra M5S e Lega Nord su tre punti: referendum sull’euro, repeal della legge Fornero sulle pensioni e una qualche forma di reddito di cittadinanza? Queste forze politiche parlano la stessa lingua e gli sfibrati partiti tradizionali farebbero bene a riflettere su come affrontare la campagna elettorale d’inizio 2018. In questo contesto, l’unico elemento di stabilità sembra sempre più essere il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella sia per i rapporti internazionali (incontro con Putin) sia per la gestione del caos parlamentare (ha negato, con tatto, le elezioni anticipate Renzi dopo la sconfitta del referendum e probabilmente giocherà un ruolo importante rispetto ai prossimi governi in uno scenario proporzionale e caotico).

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