La Strategia del ContenimentoLo Scenario Politico di Lorenzo Castellani
- 5 July 2017
- Posted by: Competere
- Category: News
Troppo spesso i grandi problemi del nostro tempo (immigrazione, globalizzazione, Unione Europea) ci vengono presentati in maniera semplicistica dai commentatori politici. Una delle grandi finzioni in questo dibattito è la retorica aperto contro chiuso che ha trovato ampio spazio tanto sui media mainstream quanto su quelli anti-establishment. Da un lato i pro-global, pro-immigrazione, pro-Europa e dall’altro tutti gli altri, i contrari a tutto. In altri termini: globalismo vs sovranismo.
La situazione è un po’ più complessa, direbbe il Giulio Andreotti del Divo.
Ci sono già dei casi a testimoniare la maggiore complessità della partita politica: in Grecia Alexis Tsipras vince a suon di referendum guidando il “popolo” alla rivolta contro la Troika e poi, a conti fatti, si trasforma nel giro di pochi mesi nell’esecutore materiale del programma sovranazionale; la Brexit trionfa alle urne al grido di take back control! ma si annacqua nella trattativa con Bruxelles e dopo oltre un anno ancora non si vede un chiaro indirizzo sui termini e la portata della trattativa; in Austria i “moderati” socialdemocratici minacciano di schierare l’esercito per chiudere le frontiere con l’Italia; lo stesso Donald Trump, al netto delle disavventure domestiche, non è riuscito a mostrare ancora quanto proclamato nel suo programma elettorale sia a livello di immigrazione che di commercio internazionale.
La globalizzazione e l’integrazione sovranazionale non sono un pranzo di gala e non si dismettono con una vittoria elettorale. Allo stesso tempo, non si può governare con il pilota automatico dell’apertura e dei diritti universali, come se nulla fosse cambiato in questi anni di crisi economica e sbarchi, come se i cambiamenti dell’opinione pubblica non siano una spia d’allarme importante per la salute dei partiti moderati.
L’esempio vale anche al contrario e, sul punto, è rappresentativo il comportamento di Emmanuel Macron. Eletto, e presentato dai media, come un liberal dalle ampie vedute europeiste una volta preso il ponte di comando dell’Eliseo il giovane enarca ha mostrato un gollismo che non si respirava da decenni: cantieri navali “nazionalizzati”, chiusura a migranti economici e niente porti aperti alle ONG, proposta di un Buy European Act per contrastare la concorrenza asiatica. Interesse nazionale prima, interesse europeo poi, globalizzazione in fondo a destra. Un segno che la storia non è divisibile in due: la dicotomia aperto contro chiuso non regge, il dualismo sovranismo vs globalismo non sta in piedi quando scendiamo nella realtà.
Per fortuna che questa rappresentazione non funziona perché spostare la complessità del mondo presente nella biforcazione tra aperto e chiuso risulta pericoloso. L’apertura indiscriminata, l’universalismo dei diritti umani senza confini, ha fornito carburante ai partiti anti-establishment, ma la chiusura totale, il sovranismo, risulta una utopia irrealizzabile e dannosa quando arriva nelle stanze del governo. Se è vero che la globalizzazione e l’integrazione sovranazionale dei capitali e del diritto non può essere smantellata, e sarebbe disastroso farlo, è altrettanto vero che non esiste alcun obbligo all’accoglienza dei migranti, perché questa politica rischia di essere il modo migliore per legittimare lo spirito politico della chiusura totale (dei confini, dei mercati, delle istituzioni europee).
Esiste una terza via? Una strategia del contenimento che accompagni i cambiamenti politici evitando lo scivolamento verso la chiusura totale che distrugge la società liberal-democratica o verso l’apertura indiscriminata che travolge le identità e alimenta l’intolleranza?
Macron sembra essere il primo leader europeo ad essere arrivato al punto. Siamo ancora a livello di comunicazione, non c’è riscontro fattuale, ma il Presidente francese ha capito che bisogna mescolare le carte per evitare l’implosione politica delle democrazie occidentali. Controllo dei confini dall’immigrazione selvaggia, riforme che rimodellino il welfare a favore dei non-garantiti, costruzione di una alleanza tra democrazie “compatibili” (la fortezza Europa più Trump e Trudeau) con qualche concessione alla Russia di Vladimir Putin.
Al contrario in Italia tutto sembra convergere verso la pericolosa dialettica sovranismo vs globalismo, si affaccia un nuovo bipolarismo (PD-FI vs M5S-LN). Dopo anni il governo Renzi-Gentiloni sembra essersi accorto dell’emergenza immigrazione su cui tutti gli avversari si stanno posizionando e su cui si giocherà la partita elettorale. Ad oggi, però, Palazzo Chigi è stato isolato da Francia e Spagna che non aprono i porti ai migranti. Anzi, le frontiere degli stati confinanti iniziano a chiudersi e l’immigrazione rischia di essere derubricato a problema italiano. Nel frattempo un rapporto dell’ISTAT informa che se continua così l’ondata migratoria porterà in Italia 14 milioni di immigrati in meno di cinquant’anni e, nel 2016, su 38mila immigrati clandestini ne sono stati rimpatriati poco più di 5mila. Nel frattempo il PD di Renzi sbandiera lo ius soli in Parlamento che secondo un sondaggio IPSOS vede contrario il 54% degli italiani.
Altra benzina nel motore dei partiti anti-establishment a cui si aggiungono le immagini delle stazioni centrali delle due principali città italiane: Roma e Milano dove l’immigrazione irregolare e mal gestita prolifera, colonizza, aumenta la percezione dell’insicurezza. Senza una policy di respingimento immediatamente azionabile di contrasto all’immigrazione i partiti “moderati” rischiano di farsi male alle urne. Lo ha capito Silvio Berlusconi, più svelto dei suoi partner, che propone di fermare l’emorragia e di intervenire in Libia.
Senza superare il velo del politicamente corretto sui confini, la retorica dell’apertura e il senso d’inferiorità con gli altri partner europei si entra diretti nella fallace retorica globalismo vs sovranismo da cui la già intavolata futura coalizione tra Pd e Forza Italia rischia di uscirne con le ossa rotte.
Se i “vecchi partiti” vogliono sperare di salvarsi, pur con il vento della storia che soffia contro, devono trovare immediate risposte, di respingimento e difesa, al problema dell’immigrazione. Fare la voce grossa a Bruxelles, molto più di quando si mendicavano gli zero virgola di PIL da spendere in bonus e pensioni, perché una Unione che non trova una linea e una cooperazione sulla difesa dei confini allora è un club, non un’Unione (a proposito, qualcuno di voi sa che fine ha fatto Lady PESC Federica Mogherini?).
La credibilità e la salvezza elettorale dei partiti moderati si giocano sulla strategia del contenimento, sulla capacità di prendere decisioni “forti”, di condizionare i partner europei e non sulle acrobazie retoriche dell’apertura e della chiusura, dei globalisti vs sovranisti, dei liberal vs illiberali. Il consenso non aspetta e non ragiona con le dicotomie moraleggianti. C’è un realismo perduto che sarebbe opportuno ritrovare.