La Vivacità dei Contenziosi Pubblici Italo Francesi

di Raffaello Morelli

Gli sviluppi di questa settimana nei rapporti tra Italia e Francia – sui due versanti, quello del contenzioso sulla proprietà dei cantieri STX di Saint Nazaire e quello del contenzioso sul ruolo di Vivendi in TIM, il grosso gruppo di comunicazione – meritano di essere oggetto, oltre che di notizie giornalistiche, di un dibattito diffuso tra le forze politiche e nell’opinione pubblica. Sia perché sono due vicende di per sé significative in campo imprenditoriale, sia perché mostrano un’Italia arrivata ad adottare un modo, in sostanza corretto, di considerare l’UE non un recinto di poteri conformisti bensì un quadro da dipingere secondo le regole in essere per confrontare le varie iniziative dei cittadini.

Nella vicenda di cantieri, l’Italia – che ne aveva acquistati i 2/3 dal tribunale fallimentare di Seul ed era stata colta di sorpresa dalla decisione del Presidente Macron, anche se preannunciata in campagna elettorale, di nazionalizzarli provvisoriamente – ha infine assunto una posizione realistica e ha accettato incontri tra i rispettivi ministri per discutere l’offerta francese di concedere la presidenza e il 50% delle azioni ed insieme procedere ad integrare Fincantieri, STX ed un altro gruppo francese del settore della difesa militare, il Naval Group (con l’obiettivo di dare vita ad un leader europeo che divenga l’attore principale nei mercati civile e militare). Il tutto nella prospettiva di un’ipotesi di intesa da formalizzare il 27 settembre prossimo quando si terrà il vertice Italia-Francia tra Macron e Gentiloni a Lione. Di questa trattativa si vedranno gli esiti. Fin d’ora si può dire che il nuovo atteggiamento pare esprimere una rinnovata concezione non statica delle regole UE. Che esistono non per attutire il confronto tra i diversi interessi bensì per inquadrarne lo svolgimento, visto che l’anima UE è la diversità dei cittadini e non la loro uniformità.

Una cosa simile si sta verificando nel procedere della vicenda Vivendi-Tim, che tocca pure il pacchetto azionario di Vivendi in Mediaset. Dal marzo 2016, Vivendi è il primo azionista di Tim detenendone poco meno del 25% del capitale. Ma a partire dal dicembre 2016 le cose si sono complicate in più sensi. In estrema sintesi, all’epoca Vivendi, rompendo particolari contratti all’epoca vigenti con Mediaset, ha acquisito poco meno del 30% di Mediaset con intento ostile. Ciò, a parte il contenzioso con la stessa Mediaset, ha determinato una illegalità, perché, sommando le quote possedute in Tim e in Mediaset, Vivendi raggiunge una quota del Sistema Integrato delle Comunicazioni superiore al limite del 10% fissato per legge. Quindi dalla scorsa primavera l’Autorità per le Comunicazioni, AGCOM, ha stabilito che Vivendi deva abbassare una delle due partecipazioni.

Fin qui veniva considerata una disputa economica tra privati, semplicemente con aspetti da ricondurre nelle norme italiane. Dopo che Macron ha nazionalizzato i cantieri sull’Atlantico tarpando Fincantieri, per un certo periodo in Italia si è purtroppo strillato alla violazione dell’europeismo, poi il governo ha scoperto il caso dell’azionariato Tim e ha cominciato a muoversi secondo un’altra logica più consona allo spirito UE . Il fatto certo è che tra le proprietà di Tim c’è tutta la Telecom Italia Sparkle Spa, che, come fa capire il nome inglese (“sfavillio”), è un colosso dei cavi di comunicazione sottomarini, voce e dati (settimo gruppo del settore al mondo, 4/5 dei cavi tra il Mediterraneo e l’America, 2/3 dei cavi esistenti nel Mediterraneo), ovviamente considerata dal Governo d’interesse nazionale. Il nodo era stabilire se costituiva un cambio di nazionalità nel controllo il quasi 25% dell’azionariato Tim in mano a Vivendi. Perché, se lo fosse, la cosa avrebbe dovuto essere notificata entro certi termini al governo per metterlo in grado di esercitare eventualmente il golden power (vale a dire il diritto tra l’altro di vietare l’operazione in quanto lesiva degli interessi nazionali).

Fino a luglio, si era accettato che il controllo cominciasse dal 50% in poi (anche se è noto che in una grande spa, con il capitale in gran parte frammentato, chi possiede il 25% è di fatto dominante), dopo il Governo si è reso conto che il controllo non si limita ad una questione quantitativa sulle azioni ma può esserci anche quando una società non è in pratica più contendibile. Così il clima è mutato (magari agevolato del passaggio dei vertici aziendali Tim, pur in forma provvisoria, ad uno staff tutto francese di Vivendi) e la Consob ha svolto una attenta istruttoria al riguardo, conclusasi in questi giorni stabilendo “che la partecipazione di Vivendi in Tim deve essere qualificata come una partecipazione di controllo di fatto”.

Vivendi continua a sostenere che su Tim esercita solo direzione e coordinamento e che quindi non aveva e non ha l’obbligo di notifica alla Presidenza del Consiglio. Pare però chiaro che il Governo ha ormai in mano le condizioni per non rinunciare ad avere il diritto di esercitare la golden share: si vedrà nelle prossime settimane se poi sarà esercitata e come. Intanto, Vivendi ha presentato all’AGCOM un nuovo piano per adempiere alle prescrizioni datele circa il possesso contemporaneo di azioni Telecom e Mediaset, dopo averle provate di tutte nei mesi scorsi: trasferirà a un trust indipendente le quote detenute in Mediaset eccedenti il 9,9% dei diritti di voto (l’AGCOM ha dato tempo fino ad aprile 2018 per farlo). In materia non pare Vivendi possa sgattaiolare, visto che anche l‘Antitrust UE segue ufficialmente la questione molto da vicino.

Nel complesso, il contenzioso tra Francia ed Italia ha svegliato un po’ i gruppi di governo italiani. Pare si cominci a non interpretare le regole e gli interessi in chiave statica, riferendo le prime solo alle forme piuttosto che al senso e i secondi solo al potere esistente e in quale grado. Si apre allo spirito profondo della UE. Far esprimere le diversità di ciascuno, interessi inclusi, e di conseguenza spingere, invece che alla ricerca della quiete piatta in cui annullare la propria natura ossequiando il conformismo dominante, a cogliere lo spirito dinamico compatibile con le norme della convivenza (anche quando non apertamente richiesto). Peraltro sempre con una consapevolezza. Richiamare i diritti di natura non significa pretendere passivamente che ci venga dato ciò che presumiamo ci spetti di sicuro, bensì l’aver capito qualcosa nel conoscere i meccanismi del mondo, cioè che la convivenza funziona tanto meglio quanto più i singoli conviventi vengono messi in condizione di poter esprimere sé stessi purché lo pratichino davvero.

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