[ITA] Nutriscore e Sustainable Nutrition: Intervista al Sen. Mino Taricco
- 21 September 2021
- Posted by: Competere
- Categories: highlights, News, Sustainable Nutrition
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«Non riesco a non pensare che dietro tale prese di posizione non ci siano mobilitazioni di interesse». Dice Mino Taricco, Senatore Pd, commentato la recente presa di posizione dell’Oms in favore di una ricerca dello Iarc Francia in cui si legge che il Nutriscore potrebbe essere un valido strumento nella lotta contro il cancro. «Quanto successo non deve smuovere di un millimetro quello che il nostro Paese, insieme ad altri, sta facendo. La partita è complessa ma non è chiusa: anche all’interno delle organizzazioni internazionali e dei Paesi come la Francia c’è chi si oppone al Nutriscore. Non vedo, infatti, come un Paese dalla cultura eno-gastronomica e alimentare come la Francia possa considerare il Nutriscore un sistema che aiuta le famiglie a muoversi meglio nella comunicazione alimentare».
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Tuttavia, negli stessi giorni, a Cibus si era detto che il Nutriscore aveva le ore contate. Quali sono le conclusioni da trarre?
Quello che serve è un lavoro meticoloso e costante che costruisca alleanze e che aiuti una molteplicità di soggetti che operano sui territori a uscire con le loro posizioni.
Sappiamo che l’etichettatura è una soluzione per fornire al consumatore le adeguate informazioni in merito a quello che compra e che poi mette in tavola. Non solo il Nutriscore, ma anche altre forme di etichettatura – pensi ai vari palm oil free, sugar free… – hanno dei punti deboli. Come si può ovviare a queste criticità?
Il Nutriscore ha alcuni indubbi vantaggi di comunicazione, tra cui quello di essere di facile comprensione per tutti i cittadini. Viviamo in un contesto sociale e culturale, quello dei social media, dove le informazioni devono stare in poche righe. Ciò favorisce il Nutriscore, dove l’unico sforzo richiesto è interpretarne il colore. Ma questo tipo di comunicazione è falsante, non aiuta il consumatore a fare scelte consapevolmente corrette sotto tutti i punti di vista. Aggiungo inoltre che una grande parte della produzione alimentare italiana di qualità ha tutto l’interesse a impegnarsi sul tema dell’autenticità del prodotto, a fornire una comunicazione trasparente senza mascherarsi dietro giochi di parole che vogliono dire poco o nulla. Dire però che un prodotto non usa conservanti chimici non aiuta affatto il consumatore nell’informarlo della qualità dell’alimento. Alla lunga, la trasparenza e l’autenticità della comunicazione è ciò che premia. Le certificazioni come Dop e Doc sono diventate marchio di credibilità dopo decenni di utilizzo, e oggi rappresentano la strada maestra che le imprese dovrebbero seguire e che le istituzioni dovrebbero incentivare.
Ci sono ancora casi in cui grandi o piccoli brand italiani sono sotto attacco. Penso per esempio alle accuse di “monopolio delle nocciole” della Ferrero, sostenendo che la multinazionale piemontese sta annientando le biodiversità e la diversificazione di culture in molte regioni d’Italia.
Queste sono cose che durano una stagione. Come possiamo parlare di monopolio se degli otto o nove milioni di quintali di nocciole prodotte al mondo, sette milioni sono prodotte dalla Turchia e 400mila quintali dall’Italia? Non escludo che a livello locale lo sviluppo di nuovi investimenti terreni possa aver causato danni alla biodiversità – un problema che potrebbe essere alleviato da maggiori strumenti di gestione e monitoraggio del suolo – ma la sua strumentalizzazione finirà presto. Se l’Italia producesse il 30-40% delle nocciole mondiali e si assistesse a un aumento del 20%, allora si tratterebbe di un problema oggettivo da monitorare. Ma qui si parla di numeri infinitesimali su scala globale. Anche in scala territoriale, come l’alta Langa con i suoi importanti livelli produttivi, non credo che nessuno possa parlare di attacco alla biodiversità. Anche perché le coltivazioni di nocciole sostituiscono spesso coltivazione intensive frutticole o cerealicole. Quello che può esserci in questo caso è un problema di redditività e opportunità che però va affrontato dal singolo imprenditore agricolo.
L’Italian sounding, il Nutriscore, ora questi attacchi alle nostre produzioni e la vicenda del Prošek croato che chiede riconoscimenti europeo: perché i nostri prodotti alimentari sembrano avere sempre il fianco scoperto?
Perché siamo i più grandi detentori al mondo di patrimonio di produzioni tutelate da denominazioni di origine o altre discipline produttive. Chiunque attacca quel mondo attacca noi. Il nostro modello si basa sulla differenziazione di un prodotto perché fatto con tecniche speciali secolari e radicate in un territorio, e in quanto tale tutelato dall’Europa e in parte dall’Wto. L’attacco a questa nostra peculiarità sarà sempre più forte, con grande parte del mondo produttivo che vuole produrre con le nostre stesse caratteristiche e redditività. Al contrario sarebbe strano se non generasse una messa in campo di grandi energie da parte di altri Paesi per imitarlo. Sta diventando sempre di più un tema di regole a livello comunitario e di alleanze con chi fa il nostro stesso lavoro in altre parti del mondo. La scommessa è quella di valorizzare la propria autenticità e unicità. Senza alleanze, il nostro modello, privilegiato grazie agli sforzi delle generazioni passate, rimarrà sotto attacco.
Come giudica in questo contesto la nuova Pac varata pochi giorni fa dall’Ue?
La Pac gioca una partita diversa, quella del rapporto tra la sostenibilità socioeconomica, quella ambientale e la salubrità dei prodotti. Questa però deve essere la soglia minima richiesta a tutti i produttori, mentre quella del riconoscimento è una battaglia che va ben oltre: un prodotto buono, qualitativamente migliore, prodotto con perizia artigianale secolare deve essere tutelato per la sua unicità. Il riconoscimento è importante non solo per i nostri produttori ma anche per quelli di altri Paesi che vogliono tutelare un modello produttivo che noi crediamo essere migliore.
Quale potrebbe essere il ruolo delle imprese e delle associazioni di categoria nel difendere e promuovere l’agrifood italiano?
Il tema è innanzitutto culturale, poi economico e normativo. Il lavoro delle imprese e dei cittadini deve essere quello di rendere comprensibile al maggior numero di persone la vera posta in gioco, che non è il riconoscimento in sé ma la tutela della storia dei prodotti. Non solo i nostri ma quelli di tutto il mondo che condivide il nostro stesso modello. Quella del Prošek è una scorciatoia che invece di valorizzare le proprie peculiarità sceglie di imbarcarsi sul nostro vascello vincente. Per vincere bisogna sostenere e aiutare territori e imprenditori a scommettere sui prodotti locali.