Obesità, depressione e farmaci GLP-1L'IDEA DI Enzo Nisoli*

Negli ultimi anni, farmaci come la semaglutide (Ozempic) e la tirzepatide (Mounjaro) hanno attirato notevole attenzione non solo per la loro efficacia nel trattamento del diabete e nella perdita di peso, ma anche per le preoccupazioni sui potenziali effetti collaterali psichiatrici. L’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) ha avviato una revisione nel 2023 per esaminare se questi farmaci possano aumentare il rischio di suicidio, alimentata da segnalazioni di circa 150 casi di pazienti che hanno riportato pensieri suicidari o comportamenti autolesionistici. Queste preoccupazioni sono particolarmente rilevanti per chi soffre di obesità, una condizione fortemente legata alla depressione e ai pensieri suicidari. 

OBESITÀ E DEPRESSIONE: UN CIRCOLO VIZIOSO

L’obesità è spesso associata a una serie di complicazioni psichiatriche come la depressione. Numerosi studi hanno dimostrato che le persone con obesità sono più inclini a soffrire di disturbi depressivi rispetto alla popolazione generale. La relazione tra obesità e depressione è bidirezionale: da un lato, l’eccesso di peso può causare problemi di autostima, discriminazione e isolamento sociale, che contribuiscono allo sviluppo della depressione; dall’altro, la depressione può portare a uno stile di vita sedentario e all’eccesso alimentare, aggravando il problema del peso. Questo circolo vizioso, che ha alla sua base un doppio processo infiammatorio negli organi periferici – come l’organo adiposo – e nel cervello, può aumentare il rischio di pensieri suicidari, creando una situazione psicologica particolarmente fragile per questi pazienti (Plackett B., Nature 608: S42-S43, 2022). 

Secondo diversi studi, le persone con obesità hanno un rischio significativamente maggiore di sviluppare depressione e ansia rispetto a quelle con un peso normale (Blasco et al., Psychiatry Investig. 17(8): 715–724, 2020). Questo rischio è particolarmente elevato per le donne e per coloro che soffrono di obesità grave. È importante sottolineare che la depressione, soprattutto se non trattata, è uno dei principali fattori di rischio per il suicidio

L’INTERVENTO DEI FARMACI PER LA PERDITA DI PESO: BENEFICI E RISCHI

I farmaci per la perdita di peso, come gli agonisti del recettore GLP-1, sono visti come una speranza per chi soffre di obesità e delle complicanze psichiatriche a essa associate. Questi farmaci possono ridurre il peso corporeo in modo significativo, migliorando così l’autostima e la qualità della vita di molti pazienti. Ridurre l’obesità potrebbe, di conseguenza, avere un impatto positivo sulla depressione e sul benessere mentale.  

Tuttavia, alcuni esperti hanno sollevato preoccupazioni sul potenziale impatto negativo di questi farmaci sul sistema nervoso centrale. Gli agonisti del GLP-1, come semaglutide, interagiscono con i recettori cerebrali e potrebbero, in alcuni casi, alterare l’equilibrio neurochimico. Questo effetto potrebbe teoricamente influenzare l’umore e il comportamento, esacerbando in alcune persone una predisposizione alla depressione o ai pensieri suicidari. Anche se le prove a supporto di un tale rischio non sono definitive, l’interazione tra questi farmaci e il cervello richiede ulteriori indagini.    

LE EVIDENZE DAI DATI DEL MONDO REALE

Una delle sfide principali per valutare il rischio di suicidio legato a semaglutide o altri farmaci di questa classe è la rarità di eventi come il suicidio nei contesti clinici. Gli studi randomizzati, per quanto rigorosi, non sono ideali per rilevare differenze significative in eventi così rari. È per questo che la comunità scientifica ha iniziato a fare affidamento sui dati del mondo reale, come quelli provenienti da registri medici nazionali in Paesi come la Svezia e la Danimarca.

Uno studio, pubblicato recentemente (Ueda et al., JAMA Intern Med. Published online September 3, 2024. doi:10.1001/jamainternmed.2024.4369) ha analizzato dati provenienti da 124.517 persone che hanno iniziato la terapia con semaglutide o liraglutide tra il 2013 e il 2021, confrontandoli con 174.036 utilizzatori di inibitori SGLT2, un’altra classe di farmaci per il diabete. I risultati non hanno mostrato un aumento significativo del rischio di suicidio nei pazienti che assumevano gli agonisti del GLP-1, anche se il tasso di suicidio era leggermente più alto (6 su 10.000 contro 4 su 10.000 per gli inibitori SGLT2). È interessante notare che i pazienti a cui veniva prescritta semaglutide tendevano ad avere una storia di depressione o di uso di antidepressivi, fattori che potrebbero aver influenzato i risultati.

ALTRE RICERCHE E PUNTI DI VISTA

Un ulteriore studio pubblicato su Nature Medicine (Wang et al., Nat Med. 30: 168–176, 2024) ha fornito una prospettiva diversa, suggerendo che l’uso di farmaci come semaglutide potrebbe addirittura ridurre il tasso di suicidio. In particolare, questo studio ha coinvolto oltre un milione di pazienti e ha mostrato che gli agonisti del GLP-1 potrebbero avere effetti protettivi, probabilmente legati alla riduzione dei comportamenti compulsivi e alla perdita di peso. In particolare, nei pazienti con sovrappeso o obesità (età media 50,1 anni, 72,6% donne), la semaglutide rispetto ai farmaci anti-obesità non agonisti del recettore del GLP1 era associata a un rischio inferiore di ideazione suicidaria incidente (HR = 0,27, 95% CI = 0,20-0,60) e ricorrente (HR = 0,44, 95% CI = 0,32-0,60), coerente con la stratificazione per sesso, età ed etnia. Risultati simili sono stati replicati nei pazienti con diabete mellito di tipo 2 (età media 57,5 anni, 49,2% donne). Globalmente questi risultati suggeriscono che non esista un rischio maggiore di ideazione suicidaria con semaglutide rispetto ai farmaci antiobesità o antidiabete non agonisti del recettore del GLP1.

UN RISCHIO COMPLESSO DA VALUTARE

La questione del suicidio in pazienti che assumono semaglutide o farmaci analoghi è complessa, poiché il suicidio è il prodotto di molteplici fattori che interagiscono tra loro, tra cui lo stato psicologico dell’individuo, le condizioni sociali e culturali e l’accesso a servizi di supporto psicologico. La Scandinavia, per esempio, con il suo alto tasso di felicità nazionale e, paradossalmente, anche alti tassi di suicidio, potrebbe non essere direttamente comparabile ad altri contesti, come gli Stati Uniti o altri Paesi europei.

Ciò che è chiaro è che l’obesità stessa è un importante fattore di rischio per la depressione e il suicidio, e che qualsiasi intervento medico che modifichi significativamente il peso corporeo e i comportamenti alimentari deve essere attentamente monitorato per gli effetti psicologici.

CONCLUSIONI

Alla luce delle attuali evidenze, non vi è una correlazione chiara e definitiva tra l’uso di semaglutide e altri farmaci GLP-1 e un aumento del rischio di suicidio. Tuttavia, considerando la forte associazione tra obesità e depressione, è fondamentale che i pazienti trattati con questi farmaci siano monitorati non solo per la perdita di peso, ma anche per eventuali cambiamenti nel tono dell’umore o del comportamento. La depressione legata all’obesità è una condizione seria che può aumentare il rischio di suicidio, e l’uso di farmaci che agiscono sul sistema nervoso centrale richiede un’attenzione particolare a questi aspetti.
In conclusione, il trattamento dell’obesità con questi farmaci così innovativi e efficaci offre sicuramente molteplici benefici, ma deve essere accompagnato da una valutazione continua della salute mentale del paziente. Solo con un approccio olistico sarà possibile garantire risultati positivi a lungo termine sia per il corpo che per la mente.

*Enzo Nisoli è Coordinatore scientifico del Centro di Studio e Ricerca sull’Obesità (CSRO) e Professore ordinario di Farmacologia – Dipartimento di Biotecnologie Mediche e Medicina Traslazionale presso l’Università degli Studi di Milano.

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