Parmigiano Reggiano e Grana Padano: fronte comune contro il NutriscoreDI ANTONIO PICASSO

Il no congiunto dei Consorzi Parmigiano Reggiano e Grana Padano, al sistema Nutriscore, merita un plauso sia in termini di merito sia di metodo. Rappresenta infatti la prima ferma opposizione, da parte di due brand leader dell’agrifood made in Italy, al metodo di etichettatura a semaforo che assegna un colore, e dunque un “via libera” o meno, a ogni alimento in base al livello di zuccheri, grassi e sale, calcolati su un parametro di riferimento di 100 grammi di prodotto.

Perché no al Nutriscore

Elaborato in Francia e adottato, al momento, da Belgio, Germania, Lussemburgo, Paesi Bassi e Svizzera, il Nutriscore è il classico esempio di cattiva azione nata da una buona intenzione. Almeno al netto delle supposizioni maliziose per cui dietro una mossa apparentemente innocente vi sarebbe qualche interesse di mercato. Lasciamo perdere congetture e complotti. La buona intenzione dei sistemi di etichettatura è facilitare il consumatore a compiere scelte alimentari – fin dall’acquisto in un negozio o in un supermercato – che lo portino a migliorare la propria condizione di salute. La cattiva azione sta invece nel non fornire un’informazione corretta al consumatore, in quanto il semaforo posto sul prodotto si basa indiscriminatamente su quell’etto di prodotto, condannato a sedere al banco degli imputati, senza che se ne prenda in considerazione A) altri valori nutritivi; B) il processo di lavorazione. L’utilizzo di etichette a semaforo risulta infatti scollegato da una dieta e dalla razione consigliata. È uno strumento fuorviate rispetto alla reale natura del prodotto singolo. Del resto, sappiamo che non c’è alimento della dieta mediterranea che non abbia i suoi punti di forza, i suoi pregi alimentari, come anche i suoi limiti in caso di abuso.

L’opposizione al Nutriscore è quindi una presa d’atto alla superficialità del sistema da parte di chi, da sempre, fa della salubrità dell’alimento un suo punto di forza. Come spiegano gli stessi produttori, il Nutriscore, “in quanto basato su un’informazione generica e certamente non educativa per il consumatore, tradisce il fine ultimo che si prefiggeva, ovvero garantire scelte salutari, bilanciate e corrette dal punto di vista nutrizionale e salutistico. Per questo motivo gli strumenti di etichettatura basati sul principio a semaforo sono da considerare una pratica svalorizzante della Dop, perché disincentivanti il consumo del prodotto senza un motivo oggettivo di tipo nutrizionale. L’obiettivo, al contrario, è insegnare il consumo consapevole delle quantità corrette e tenendo conto delle caratteristiche organolettiche complessive del prodotto”.

Una joint venture a sostegno del Made in Italy

Ma, come si diceva, l’operazione è lodevole anche in termini di metodo. Per la prima volta infatti i due consorzi si sono riuniti in un Cda congiunto per contrastare un nemico comune. In nome di valori condivisi quali trasparenza, qualità, rispetto del cliente consumatore, hanno messo da parte la concorrenza – che in questo caso sarebbe apparsa sterile. È una best practice rara in un ecosistema nostrano che spesso ha pagato lo scotto di divisioni interne a un settore. Le piccole realtà produttive, che costellano il panorama dell’agrifood italiano, è difficile che possano portare a casa un risultato di fronte ai colossi d’oltralpe. A meno che non si giochi con la stessa maglia della nazionale, pur venendo da squadre di club differenti.

Questo non vuol dire che il Nutriscore sia stato abbattuto. Al contrario, siamo all’inizio di una battaglia, dal respiro europeo e in cui le forze in campo non hanno ancora mosso i propri pedoni migliori. Ma il fatto che due alimenti quasi immancabili dalle tavole degli italiani abbiano preso una posizione inequivocabile dovrebbe essere un avvertimento per chi è ancora indeciso, o peggio si illude di salvare il proprio orticello, abboccando a un sistema in cui propri i pesci piccoli e solitari sono i primi a scomparire.

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