Payback sui Dispositivi Medici: Una Minaccia per l’InnovazioneDI PIETRO PAGANINI

Il Payback sui dispositivi medici è l’ultimo strumento dello Stato Leviatano. Questa politica, sintomo di una gestione statale inefficiente, impone pesanti ricadute sulle aziende, specialmente le Pmi, e sui cittadini. Le regioni continueranno a non bilanciare i loro conti e saranno costrette ad acquistare dispositivi medici dalle multinazionali a prezzi esorbitanti, impoverendo ulteriormente un Paese che, nel frattempo, ha perso la capacità di fare innovazione e la voglia di fare impresa.

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In Italia, a differenza della Francia con il suo 14 Luglio, non abbiamo mai avuto un giorno simbolico che segnasse un netto distacco dall’autoritarismo verso la democrazia liberale. Questa assenza storica può in parte spiegare perché, nonostante viviamo in una democrazia parlamentare, molte volte siamo trattati e ci comportiamo ancora come sudditi. Sudditi non di un monarca, ma di tanti piccoli principi a capo di altrettanti protettorati di clientele politiche. In questa giovane nazione, che resta ancorata alle sue tradizioni medievali, continuiamo a sopportare le angherie di uno Stato che dovrebbe invece garantirci libertà, diritti e opportunità mediante regole scelte dal Parlamento che ci rappresenta. Invece, ci troviamo a subire l’influenza tangibile di uno Stato impositivo, guidato da una casta di moderni principi e burocrati che decidono arbitrariamente cosa è giusto e cosa sbagliato, oltre ai balzelli a cui dobbiamo sottostare.

Questa analisi, purtroppo comune, è supportata da innumerevoli fatti, storie ed evidenze di cui ciascun cittadino, in qualche modo, ne è stato vittima.

Il Payback sui dispositivi medici è l’ultimo esempio che riflette gli aspetti più oscuri del leviatano. Questo meccanismo, imposto dal legislatore (Governi e Parlamenti compiacenti), costringe le aziende che commerciano dispositivi medici a restituire una parte delle spese eccedenti i budget regionali. Il meccanismo di refunding, calcolato secondo incomprensibili formule burocratiche, è così astruso che non solo uno straniero, ma nemmeno un italiano avvezzo al metodo scientifico e al ragionamento logico, riuscirebbe a comprenderlo senza sforzo. Se una regione supera il proprio budget perché ha speso troppo, la differenza deve essere “restituita” dalle aziende che hanno fornito i dispositivi. Non c’è bisogno di rileggere per capire, è proprio così: il costo degli “errori” di una regione (ente pubblico) ricade sul privato, e alla fine sul cittadino.

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Non mi addentrerò nei dettagli legislativi e giuridici o nelle controversie legali che hanno visto la Corte Costituzionale confermare questo provvedimento come “ragionevole”. Questo perché voglio concentrarmi sul principio su cui dovrebbe basarsi una norma in uno Stato liberale: in questo caso, la norma è stata maliziosamente formulata per mascherare le inefficienze dello Stato e delle regioni, scaricandole sui cittadini.
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Il problema, infatti, è che le regioni non dispongono delle risorse necessarie per garantire un servizio sanitario adeguato a una popolazione in crescente invecchiamento e a una medicina sempre più avanzata. La longevità di cui stiamo godendo, richiede, infatti, cure migliori, fornite grazie agli investimenti e all’innovazione delle imprese che competono sul mercato. Questi sono i veri motori dello sviluppo socioeconomico, che includono il profitto che genera lavoro, prosperità e crescita.
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Invece di riconoscere questi contributi, lo Stato sceglie la strada più semplice, ma anche più stupida: imporre un’ulteriore tassa a chi ha incassato (non necessariamente guadagnato) dalla sanità pubblica. Questo principio errato trasforma il legittimo profitto in un furto, ignorando che, facendo così, lo Stato mina i principi di libero mercato e libera iniziativa, fondamentali per il benessere e lo sviluppo, e destabilizza interi settori economici.
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Il pregiudizio di fondo di uno Stato che percepisce i cittadini come sudditi è la convinzione che imprese, imprenditori e manager abbiano sistematicamente abusato della cosa pubblica, contribuendo alla sua malagestione. Certamente, come afferma l’adagio Homo homini lupus, esistono casi in cui alcuni imprenditori e politici, in combutta tra loro, danneggiano la comunità. Tuttavia, questi dovrebbero essere visti come eccezioni, non come regola. In uno Stato liberale, le leggi, la loro applicazione e i controlli dovrebbero prevenire e, se necessario, sanzionare tali abusi per impedirne la ripetizione. Invece, con la normativa del Payback, lo Stato etichetta indiscriminatamente tutti come profittatori colpevoli. Ma è davvero questa la nostra identità? Certamente no. Piuttosto, è questo atteggiamento accusatorio dello Stato che spinge cittadini e imprese a cercare vie di fuga dalla mancanza di responsabilizzazione.
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Alla fine, è sempre il cittadino a pagare il prezzo più alto. Non è necessario dettagliare i numeri per comprendere il disastro che questa norma causerà: una semplice ricerca online è sufficiente per scatenare l’allarme. Le grandi multinazionali del settore medico, pur contestando la norma, possono assorbire le perdite grazie alle loro economie di scala globali. Ridurranno vendite, costi e investimenti, ma alzeranno i prezzi, e segnaleranno l’Italia come un mercato a rischio, spostando il loro interesse altrove. Le piccole e medie imprese italiane, invece, pilastri dell’economia e dell’innovazione del Paese, non godono degli stessi vantaggi e si trovano di fronte al rischio di fallimento. Addio a investimenti, posti di lavoro e innovazione.
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Le regioni continueranno a non bilanciare i loro conti e saranno costrette ad acquistare dispositivi medici dalle multinazionali a prezzi esorbitanti, impoverendo ulteriormente un Paese che, nel frattempo, ha perso la capacità di fare innovazione e la voglia di fare impresa.
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E così, senza un cambiamento, continueremo su questa traiettoria finché anche in Italia non si alzerà, almeno simbolicamente, una Bastiglia. Succederà?

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