Perché la Fuga di Cervelli Non C’Entra con l’Università dei BaroniL'articolo di Stefano Cianciotta per Il Foglio

Un paese che lascia alla magistratura anche la valutazione delle scelte che riguardano una parte considerevole della sua classe dirigente (alla quale appartengono i docenti universitari) è oggettivamente entrato in una spirale di non ritorno. Soprattutto se la decisione di valutare il merito attraverso l’anticorruzione diventa l’ennesimo presidio di legalità morale che giustifica un fatto che in altre parti del mondo fa parte della vita reale: la scelta dei nostri figli di studiare o lavorare all’estero.

La corruzione negli Atenei con l’alibi tutto italiano della fuga all’estero dei nostri ragazzi non c’entra assolutamente nulla. Continuare ad alimentare questo pericoloso mainstream giustifica un dato che non ha eguali nel mondo occidentale: in Italia 2,3 milioni di ragazzi non vanno a scuola e non lavorano. E non è colpa né della crisi economica né dei baroni.

L’Italia, che è al 43esimo posto nel mondo per indice di attrattività, ha perso appeal negli anni a causa anche a causa di una deriva antindustriale (la fabbrica è sporca e cattiva), che dagli inizi degli anni Settanta ha smantellato prima a livello ideologico e poi materialmente i luoghi che consentivano alle Università di fare ricerca e produrre innovazione (Giulio Natta per esempio vince il Nobel studiando a Milano, non nella Silicon Valley). Se a questo aggiungiamo la parcellizzazione degli Atenei in ogni angolo del Paese, perché accanto a un ospedale era bene che le città italiane avessero anche una Università per produrre laureati di cui il mercato ormai non sa più che farsene, abbiamo la quadratura del cerchio.

Il problema dell’Università italiana non sono i baroni. Nelle grandi Scuole giuridiche di Napoli, Roma e Torino esistevano i baroni, che selezionavano i propri allievi, facevano emergere i migliori e l’allievo superava sempre il maestro. E i criteri di selezione erano molto simili a quelli di oggi. La differenza la facevano non solo la qualità del selezionatore e quella del selezionato, ma il fatto che l’Università era una cosa seria. L’Università era un elemento di valore, che dava credibilità al docente e preparava lo studente al percorso successivo. Quando la quantità ha cominciato a prevalere sulla qualità (si vedano il numero spropositato degli Atenei pubblici italiani, fino alla riforma Berlinguer che avrebbe dovuto aumentare il numero dei laureati per equipararli a quello degli altri Paesi europei) il risultato non poteva che essere quello che effettivamente abbiamo davanti agli occhi: territori ormai desolati e privi di alcuna identità che si contendono poche migliaia di studenti. Che, se possono, scelgono giustamente di andare altrove.

Continua a leggere l’articolo qui

Join Our Community and Stay Up to DateSign up to receive weekly updates, thoughtful ideas, and exclusive invitations

SEARCH IN OUR NEWS

LATEST NEWS