Pil e Dati ISTAT. Istruzioni per l'(Ab)usoL'articolo di Giacomo Bandini per Tempi.it

«Ci sono tre generi di bugie: le bugie, le dannate bugie e le statistiche». Questa fase attribuita a Benjamin Disraeli potrebbe essere applicata agli ultimi slogan sentiti da parte delle forze politiche di maggioranza, dal segretario del Partito democratico e dall’attuale governo sulla situazione economica italiana. Gli ultimi dati Istat infatti dicono che nel secondo trimestre 2017, il Pil nazionale è cresciuto dello 0,4 per cento rispetto al trimestre precedente e dell’1,5 rispetto al secondo trimestre 2016. La crescita acquisita per l’anno in corso è pari all’1,2 per cento e le previsioni su base annuale sono al rialzo (+1,4 per cento). Anche l’agenzia Moody’s ha confermato il miglioramento delle stime per fine anno: +1,3 per cento. Ma non è tutto oro quel che luccica e infatti se si analizzano un po’ più a fondo i dati a disposizione la voglia di esultare viene subito ridimensionata.

Innanzitutto la crescita del Pil è sì la migliore dal 2010, ma se si effettua una comparazione a livello internazionale l’Italia non rientra comunque tra le prime posizioni. Per quanto riguarda il secondo quadrimestre del 2017, i dati Eurostat mostrano che Olanda (1,5 per cento), Polonia (1,1), Spagna (0,9), Germania (0,6), Francia (0,5) e altri Stati “minori” per peso politico ed economico fanno meglio di noi.

Sempre a livello comparativo europeo vanno poi prese in considerazioni le previsioni di crescita del Pil alla fine del 2017. L’Istat prevede un +1,5 per cento che certamente è un dato migliore rispetto a quell’1 per cento risicato dell’anno precedente. Se però ampliamo la prospettiva sul Vecchio Continente osserviamo che le previsioni per la Spagna si assestano sul +3,1 per cento, la Germania sul +2,1, la Francia sul +1,8. Altri Stati invece stanno letteralmente correndo come la Polonia (+4,4 per cento), l’Olanda (+3,8), la Svezia (+3,9). L’Italia risulta solamente penultima nella virtuale classifica della crescita prevista del Pil per il 2017 e lo scarto con chi la precede non è affatto risicato, anzi.

Altri dati Istat sono stati utilizzati per incorniciare una situazione di generale positività: gli indici della produzione industriale. Per la gioia del mondo confindustriale la variazione calcolata a maggio 2017 è stata migliore di quella della media Ue. Ovviamente anche questo dato è stato condito da toni trionfalistici che, a dire il vero, sono ingiustificati. Esaminando la serie storica fornita dall’istituto nazionale di statistica, si nota come le variazioni mensili hanno abitualmente un andamento irregolare. Prendendo, ad esempio, la categoria “beni durevoli” che a luglio 2017 ha avuto la variazione mensile superiore rispetto alle altre voci, si nota che la variazione congiunturale percentuale è +2,7 per cento. Tuttavia a gennaio 2017 è stata -3,7 per cento e ad aprile -0,1. Questo avviene perché i dati della produzione industriale sono calcolati su base mensile e le variabili che li influenzano sono innumerevoli. L’andamento è di conseguenza molto vario e per questo motivo le esultanze sembrano perlomeno eccessive. Anche perché sul lato investimenti la situazione langue e lo stesso si può dire delle scorte che sono in forte crescita con incognite su di un loro successivo smaltimento (per nulla scontato).

Questi sono solo alcuni esempi indicativi di quanto i dati economici si prestino a interpretazioni diverse e facilmente manipolabili da parte della politica. Abituati ai vari slogan, alle promesse e alle frasi fatte, si dovrebbe prestare maggiore attenzione all’analisi completa dello scenario che ci circonda e al fact-checking basato sulle evidenze statistiche e le serie storiche. Mentire riguardo la salute di un paese, raccontando che tutto sta andando per il verso giusto, non renderà certamente più produttive le imprese o le amministrazioni, non infonderà veramente uno spirito positivo nella popolazione né rivoluzionerà le cose. Forse sarebbe meglio continuare a lavorare a testa bassa con pochi annunci e più risultati. Di sicuro, anche senza slogan, tweet e slide, i cittadini sapranno distinguere fra il buono e il cattivo governo.

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