Riforma pensioni: se ci riesci hai il NobelL'IDEA DI GIORGIO ARFARAS E ANTONIO PICASSO

Da settimane la Francia è bloccata per il braccio di ferro tra Macron e forze sociali sulla riforma delle pensioni. Per gli aggiornamenti di stretta attualità e gli aspetti tecnici, rimandiamo a questo dibattito. Qui, ci concentriamo su un fattore poco esaminato: la voglia di smettere di lavorare per godersi la vita.

Si hanno tre lavoratori francesi dipendenti sessantenni, che, se passa la riforma Macron, hanno davanti a loro ancora 4 anni di lavoro, se invece vince la linea di dura di Melenchon e sinistra radicale, possono ritirarsi in pensione già oggi. Una maestra di scuola, un funzionario di banca, un commesso di un negozio di frutta e verdura. Ciascuno ha un buon motivo per essere stufo di lavorare. La maestra si sente stanca di star dietro a dei ragazzi che preferiscono TikTok a Victor Hugo. L’impiegato ha giocato tutte le sue carte e non sopporta più di ricevere ordini dal suo capo. Il commerciante non ha più il fisico per alzarsi all’alba e spostare cassette di carote e melanzane. A questo esaurimento, mentale nei primi due casi, fisico per l’ultimo, si aggiunge il disinteresse ad aggiornarsi per la maestra e l’impiegato che, nella società della conoscenza, svolgono un incarico proiettato alla digitalizzazione. Tuttavia, l’età non fa da stimolo alla formazione. Motivazioni, queste, che sedimentano in ognuno da circa una decina d’anni e che, se a cinquant’anni sono ancora tollerabili, a sessanta risultano insostenibili.

IL DESIDERIO DI GODERSI LA VITA  

Al desiderio di staccare, si associa quello di godersi gli anni che restano. In una società come quella francese, con un’alta qualità della vita, l’aspettativa per un pensionato, quindi 60-65 enne, è di avere davanti a sé mediamente tra i 20 e i 30 anni di vita, di cui una prima parte (fino a 75 anni circa) da poter vivere senza grandi problemi fisici.

Una maestra di 60 anni che smette di star dietro a una classe di adolescenti può sognare di visitare il Louvre e il Centre Pompidou in santa pace. A un ex impiegato si apre invece unlungo periodo di vacanza a Tenerife in pieno inverno. L’ex commesso del banco frutta può tornare al paese d’origine dove la vita è meno cara e l’aria migliore.

Ed è appunto questo il problema che solleva Melenchon: se vado in pensione a 60 anni, ne ho davanti ancora una buona decina in cui poter godermi le cose che non ho fatto finora, a causa del lavoro, senza sentire il peso dell’età. Se invece Macron pretende di avermi sul posto di lavoro fino a 64 anni, la mia speranza di gioire dei risparmi di una vita si dimezza in termini di tempo. Senza contare gli imprevisti di salute, variabile indipendente esclusa dal ragionamento, ma che invecchiando si fanno più frequenti. 

SISTEMA PREVIDENZIALE: COSA È CAMBIATO?

La casistica ci aiuta a osservare che abbiamo di fronte un diritto acquisito, inviolabile per ragioni di tenuta sociale ed elettorali, ma necessariamente da riformare per la stabilità della finanza pubblica. 

Il sistema previdenziale era pienamente efficiente al tempo dell’invenzione dello Stato sociale con Bismarck: si andava in pensione a 60 anni, si moriva tre dopo. In questo clima di vacche grasse, si è andati avanti fino a quando al debito pubblico fuori controllo (secondo dopoguerra) ha comunque fatto da contraltare un equilibrio demografico e una crescita economica sostenibili. In passato con un’economia e una popolazione in crescita, si aveva un rapporto 3:1 lavoratori/pensionati. Oggi la proporzione si è ridotta a 1,4 (Fonte: Decimo Rapporto “Il Bilancio del Sistema Previdenziale italiano”, di Itinerari Previdenziali). Questo in Italia, la Francia è per il momento messa meglio. In generale, si è tutti d’accordo che, per rimettere il treno delle pensioni sulle giuste rotaie, si dovrebbe affrontare il tema produttività in azienda. Migliorandone l’indice pro capite, si innescherebbe un domino virtuoso in fatto di qualità della vita sia per chi lavora (versa contributi per le pensioni), sia per chi non le pensioni le riceve.   

MA NELLA SOLUZIONE C’È ANCHE IL PROBLEMA  

Il successo dell’economia, infatti, ha migliorato la qualità della vita, permettendo la creazione di un sistema pensionistico garantito e generalista, con la pensione sociale, quanto anche strutturato con una lunga serie di specificità. O privilegi. In Francia se ne contano una trentina. I dipendenti delle Ferrovie e le ballerine dell’Opéra di Parigi – giusto per limitarsi ai due esempi più originali – possono ottenere la pensione anche prima di aver compiuto sessant’anni.

APPUNTO IL NOBEL… 

E qui ci si scontra con l’inviolabilità o meno del diritto. Seguendo la linea più intransigente, nessuna pensione può essere toccata. Anzi, ci si dovrebbe ritirare prima per godersi la terza età. Dove trovare le risorse, però? Applicando una fiscalità che vada a incrinare i patrimoni dei ricchi. Con il rischio di un fuggi-fuggi di contribuenti francesi in Lussemburgo o Montecarlo. 

Oppure si dovrebbe metter mano al mercato del lavoro, effettuando una riforma pro giovani – fatta di formazione e ingressi agevolati in azienda – ma anche pro anziani. Ovvero che induca a un’uscita progressiva dal mercato del lavoro. La maestra, per esempio, potrebbe andare a scuola tre giorni anziché cinque alla settimana. L’impiegato potrebbe fare più smart working. E via così. L’idea sarebbe coerente con il successo delle 35 ore lavorative applicate più di vent’anni fa dal governo Jospin. Da allora, infatti, si è osservato che la produttività oraria francese è migliorata rispetto a quella in Usa.

Questo però sulla carta. All’atto pratico, le buone intenzioni di Macron come quelle dei suoi oppositori più disponibili a un compromesso si infrangono su un problema che non ha nulla a che fare con l’economia. Eppure chi lo risolve ne vince il Nobel. A sessant’anni si è ancora nel fiore degli anni e, con il giusto argent de poche, non si ha la minima intenzione di passare un altro giorno in ufficio.

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Image credit: courtesy of Brenna Thummler for NYT <<< 

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