“Salviamo gli squali con aree marine protette”, l’appello di Shark GuardiansAbbracciare la complessità per un domani più sostenibile.

In seguito alle numerose petizioni online e alla mobilitazione di numerosi gruppi locali e internazionali per la salvaguardia dell’ambiente e protezione delle specie marine, si è dato origine ad un movimento noto come #SaveOurSharks di cui fanno parte molti operatori del settore turistico, centri subacquei, project aware e gran parte della società civile.

L’INTERVENTO DI SHARK GUARDIANS

Di questa situazione si è interessato anche il gruppo Shark Guardians, un’associazione internazionale che si occupa della difesa e protezione degli squali presenti in tutti i mari e oceani del mondo.

Il gruppo Shark Guardian si è preoccupato di indagare direttamente con il Ministro maldiviano della Pesca, Zaha Waheed, che ha dichiarato che non c’è intenzione, da parte del Governo, di ripristinare la pesca agli squali. Il quid della proposta riguardava, piuttosto, gli squali che rimangono accidentalmente vittime del by catch in seguito alla pesca di pesce pelagico.

Ad onor del vero, c’è da dire che ad oggi la tecnica tradizionalmente utilizzata alle Maldive è quella hand line o pole line, nella quale i pescatori si ritrovano in mare aperto in una ratio 1:1 per la lotta alla sopravvivenza. Questa tecnica è considerata, per tanto, sostenibile (per quanto bisogna valutare le modalità con le quali viene pescato il pesce che fungerà da esca per i tonni). I pescatori, dall’alto della loro esperienza, sanno che gli squali sono fondamentali per mantenere l’equilibrio sottomarino e sono consapevoli che ci sia la possibilità di fare degli incontri con queste creature che, alle volte, potrebbero prendere un morso del pesce pescato ma è, naturalmente, parte del gioco.

NECESSARIE AREE MARINE PROTETTE

Il Ministro maldiviano Waheed ha dichiarato che ci sono pressioni avanzate da piccoli gruppi di pescatori, appartenenti soprattutto alle nuove generazioni, le quali hanno accesso facilitato smartphone e social network così da rendere più visibile e usuale il problema di perdere parte del pescato perché mangiato da alcuni squali. Ovviamente non si possono biasimare gli squali che seguono la loro natura di predatori nel loro habitat, così come è più che comprensibile che anche i pescatori possano e debbano provvedere alla loro sopravvivenza, creando una sorta di competizione tra le due parti che combattono per lo stesso motivo, procurarsi il cibo.

Per ovviare a questo problema si potrebbero, anzi, si dovrebbero creare delle aree marine protette, a maggior ragione se a ridosso dei reef corallini e agli “imbocchi” delle pass oceaniche, dove non è possibile pescare, affinché possano rimanere intatte e rigogliose a beneficio di tutti e spingendo i pescatori più giovani a mantenere le loro tradizioni di pesca off shore.

Il problema che si è sollevato con il ministro Waheed (e che speriamo si esaurisca in un fuoco di paglia) non riguarda quindi la caccia allo squalo, bensì si è posto l’accento sugli squali che rimangono vittime del by catch, infatti ad oggi la legge prevede che non si possa imbarcare nessuna specie di squalo ai fini commerciali o per altri motivi, mentre ci si sta domandando se, invece, gli squali morti accidentalmente possano essere utilizzati per secondi fini, anche commerciali. Non possiamo negare che questo creerebbe dei precedenti e renderebbe i controlli molto difficili poiché non è possibile controllare tutti i vasselli che si trovano nelle acque Maldiviane e, soprattutto, non si potrebbe dimostrare che gli squali portati a terra siano effettivamente stati trovati già morti.

I PROBLEMI DELLA PESCA LONG LINE

Dobbiamo sottolineare, di nuovo, che la pesca tradizionale maldiviana di Hand Line e/o Pole Line non è direttamente chiamata in causa, poiché come già detto risulta essere sostenibile (andrebbe, in ogni caso, mantenuto un limite max di vasselli autorizzati a questo tipo di pesca al tonno).  Il problema si pone laddove si dovesse aprire alla possibilità di pesca con Long Line che, come tristemente constatato, è causa di by catch di moltissimi squali e pesci pelagici tra i quali tartarughe, mante, razze, ecc… e per questo va fortemente scoraggiato e va evitato che episodi di questo genere si verifichino come è successo nel sito di immersione di Fish Head, area marina protetta dell’atollo di Ari Nord poche settimane fa e che andrebbero perseguiti e puniti dalla legge.

L’IMPORTANZA DI QUESTA BATTAGLIA

Le Maldive sono un unico Paese al mondo, non tanto per le spiagge bianche, le palme e le lagune turchesi, quanto per l’immenso tesoro che conservano sotto la superficie dell’acqua e che rendono questo posto un vero paradiso sommerso che, però, deve fare i conti con numerosi attacchi antropologici, in primis il riscaldamento globale con conseguente acidificazione delle acque e che sta minacciando le barriere coralline di tutto il Pianeta, la presenza ormai devastante della plastica monouso, così come l’erosione delle spiagge per la mancanza di protezioni naturali come le mangrovie che, in molte isole, vengono rimosse per lasciar spazio alle costruzioni. Degno di nota è un problema che sta affliggendo la popolazione dei pesci di barriera, in grande declino numerico negli ultimi decenni. Il problema è stato portato alla luce anche grazie all’attività del gruppo Blue  Marine Foundation e Maldivian Resilient Reef, la cui Project Manager Shaha Hashim ha sollevato il problema di fronte al Ministro della Pesca affinché vengano fatte delle. Leggi per tutelare le barriere coralline e i suoi abitanti. Questo aumento di pesca e consumo del pesce di barriera, in particolare di cernie, azzannatori e pesci imperatore è dovuto allo sviluppo del turismo che ha portato nel Paese delle nuove abitudini che poco si sposano con la difesa e resilienza del reef. L’articolo in questione riporta una continua crescita di consumatori di pesce di barriera, anche tra la popolazione locale che per anni ha basato la propria dieta sopratutto sul tonno e che oggi, non solo non rinuncia a questo genere di scelte alimentari ma, è incentivato anche dal business che sj è creato dietro la pesca al bolentino, ormai attività ricreativa in gran parte delle strutture turistiche. Questo, dice Shaha, ha portato alla perdita di gran parte del. Pesce presente qui sin dagli anni ’90 (si stima una perdita di circa l’80% delle cernie) infatti, a differenza dei tonni, i pesci di barriera maturano e si riproducono in età più adulta (circa 9 anni o a 50-55 cm di lunghezza) ed in questo modo la richiesta è più alta e rapida della velocità e capacità di riproduzione della specie. È fondamentale, ribadisce il gruppo Blue, ottenere una legge che tuteli le attività turistiche dedite alla pesca affinché si possa mantenere un controllo adeguato sulle barriere coralline e i pesci e le creature che le abitano.

C’è ancora tanto da fare, tante battaglie da portare avanti e per farlo è necessario partire dall’educazione ambientale e alla conoscenza della biodiversità sin dalla più tenera età in modo da crescere un popolo consapevole e dotato di strumenti per mantenere e proteggere il Paese per le generazioni a venire.

Bio dell’autrice

Capanna Piscè Jessica, classe 1988, Abruzzese doc di Pineto (TE). Ha conseguito il brevetto subacquea professionista nel 2010 e quello da istruttrice 2011. Ha lavorato nel Mar Rosso, dove si è formata come subacquea. Dal 2014 abita alle Maldive e qui ha fatto gran parte delle immersioni (circa 8000).

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