Sisma e Burocrazia: Doppio TerremotoL'articolo di Stefano Cianciotta per Il Foglio

L’ampliamento del potere di interdizione della burocrazia e la responsabilità condizionata della politica, sono alcuni degli effetti che le calamità naturali di questo ultimo decennio hanno ulteriormente alimentato in Italia.

Nessuno vuole prendersi più la responsabilità di adottare decisioni e impartire ordini. E chi lo fa, paradossalmente, rischia di essere distrutto dalla scure del potere giudiziario.

Proprio in questi giorni la parola responsabilità ancora una volta è stata il crinale per distinguere chi l’ha interpretata in modo estensivo (il sindaco di Norcia), e chi invece nel nome e per conto della tutela e della salvaguardia della responsabilità, è intervenuto a sanzionare chi a suo giudizio ne aveva abusato (la magistratura).

Esattamente un anno fa la nota con la quale la Commissione Grandi Rischi, organismo consultivo della Protezione civile nazionale, ipotizzava nuove scosse di magnitudo 6-7, arrivando addirittura a comparare la possibile crisi della diga di Campotosto con quella del Vajont – che evoca immediatamente paure e disfunzioni amministrative – poneva degli interrogativi sulla strategia e sulla competenza con la quale viene gestita la comunicazione di emergenza in Italia.

Nel 2009 la comunicazione della Grandi Rischi e della Protezione civile era improntata alla rassicurazione, mentre oggi, dopo il processo agli scienziati, va nella direzione opposta, aggiungendo altro caos alla cronaca di questo anno e mezzo, nella quale ancora una volta è stata messa sul banco degli imputati la Pa e la sua cronica inadeguatezza nel procedere ad una corretta analisi del rischio.

Con la convocazione della Commissione a L’Aquila il 31 marzo 2009, fu proprio l’allora capo della Protezione civile Bertolaso ad intervenire per contrastare una nota improvvida della Regione Abruzzo, nella quale era stato scritto che le scosse che flagellavano L’Aquila da cinque mesi sarebbero terminate.

Agli inizi del 2017 è stato il ministro Delrio a mitigare la tensione del momento, organizzando una riunione al ministero delle Infrastrutture per discutere della situazione delle dighe e rassicurare le comunità locali, i cui amministratori però da allora non sanno come comportarsi perché gli scienziati quella volta gli hanno passato letteralmente il cerino in mano, cerino che è stato reso incandescente dalla recente sentenza della Cassazione, nella quale è stata stabilita la chiusura delle scuole che hanno indici di vulnerabilità sismica inferiori a 1.

In regioni terremotate come l’Abruzzo, poi, 216 milioni di euro per la ristrutturazione delle scuole sono fermi in cassa e non vengono spesi per l’incapacità della Pa di fare i progetti e promuovere i bandi di gara.

Insomma chi se la prende la responsabilità di fare andare avanti il Paese, utilizzando in modo appropriato gli strumenti normativi a disposizione, promuovendo nei fatti una rivoluzione culturale che avrebbe il merito di sconfiggere quasi un trentennio di giustizialismo e rilanciare con forza la visione dell’azione politica?

Il problema del rapporto tra magistratura e politica è diventato così pervasivo in tutti i gangli dello Stato, che lo stesso Governo ha lavorato per mesi alla individuazione di uno strumento di protezione giuridica che consentisse ai membri della Commissione Grandi Rischi di operare in una sorta di area extra legem. La soluzione non è stata praticabile perché il provvedimento sarebbe stato passibile di eccezione di costituzionalità.

Sarebbe stata francamente l’ennesima sconfitta della politica ad opera della magistratura, che nel frattempo è riuscita però a rendere inerme e incapace un organismo consultivo dello Stato, e a creare pericolosi conflitti di responsabilità nelle già deboli istituzioni italiane.

Eppure le norme per governare in modo responsabile esistono, così come quelle per andare in deroga alla normativa ordinaria anche nella assegnazione degli appalti pubblici. Tra le principali novità del nuovo Codice dei Contratti dei Lavori Pubblici, infatti, vi è proprio la disciplina della trattativa privata tra le imprese, che avrebbe dovuto snellire le procedure amministrative. Approvato nell’aprile del 2016, attuato in modo parziale rispetto agli adempimenti previsti, rivisto con 300 correzioni legislative, il Codice è rimasto imbrigliato e bloccato dalle beghe tra il Governo, il legislatore e l’Anac, con l’aggravante che i nodi della Pubblica Amministrazione italiana (progettazione carente, stazioni appaltanti frammentate) sono diventati cronici.

Non è un caso, quindi, che la riforma si sia arenata nei suoi aspetti più qualificanti, come il sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti, che avrebbero dovuto ridimensionare notevolmente il numero degli uffici legittimati a gestire una gara, la cui conferenza dei servizi oggi in media dura 36 mesi.

“Il governo, osserva Antonio Ortenzi, vicepresidente dell’Osservatorio Infrastrutture di Confassociazioni, ha emanato una legge snella seguendo le direttive europee, tant’è che nella scrittura ha cercato di tenere alto il principio di soft law che doveva tracciare un percorso asciutto, dando al contempo spazio alle buone pratiche di management.

L’introduzione di processi virtuosi avrebbe dovuto fare da apripista a un sistema di procedure che avevano come prerogativa il rispetto dei tempi, costi, qualità e monitoraggio e controllo dei rischi”.

Purtroppo questo ancora non si è verificato, visto che la legge con le relative determine Anac e i decreti del Ministero ancora non arriva a compimento. Poiché è mancata una deroga speciale anche dopo l’ultimo sisma del 2016, il risultato è sotto gli occhi di tutti.

“Ancora si fatica a capire, prosegue Ortenzi, che le procedure senza una governance che domini i processi in maniera strategica è pura burocrazia, nell’accezione peggiore del termine.

Quando qualche soggetto, magari pubblico, tenta di abbattere questa vera e propria cortina fumogena in maniera proattiva, ecco che scattano i mille controlli e viene tacciato di corruttele. Insomma si apre una caccia alle streghe che non trova giustificazioni. Eppure la corruzione oggi è, almeno nelle forme, acclarata e gli organi di polizia giudiziaria o l’Anac si accorgono subito se qualcosa non va”.

A pensarci bene la storia di questo terremoto è una ulteriore pagina sbiadita e opaca del potere della burocrazia italiana, forse il suo emblema più deteriore, con il legislatore a recitare un ruolo di sparring partner per trovare un filo rosso che unisca il lungo elenco di ordinanze dello Stato e la loro applicazione ad opera di enti locali sempre più smarriti ed isolati.

Le ordinanze che si sono succedute nei mesi, infatti, hanno confermato quanto centro e periferia viaggino su binari paralleli, e utilizzino codici e linguaggi per alcuni versi antitetici. Nella definizione del quadro normativo per programmare la fase della ricostruzione post-sisma, infatti, il tempo è una variabile fondamentale, che presuppone un’attenta analisi a monte delle ipotetiche risultanze dei provvedimenti posti in essere.

Proprio la mancanza di analisi della incidenza del fattore tempo sui processi in atto, è stato uno dei limiti più evidenti della ricostruzione del terremoto, perché si è registrato uno scollamento palese tra la definizione delle norme, la loro esecuzione e le azioni che dovrebbero essere disciplinate.

A L’Aquila, dopo la brillante fase emergenziale segnata dal progetto Case di Berlusconi, l’immobilismo nella ricostruzione fu superato solo dopo quattro anni dal 2009 grazie alla intuizione dell’allora ministro per la Coesione territoriale Fabrizio Barca di istituire gli Uffici Speciali e dare vita alla scheda parametrica di valutazione per gli edifici privati. In ogni caso la scelta dell’affidamento diretto all’impresa non è mai stata in discussione.

Per il terremoto che ha coinvolto le regioni dell’Italia centrale, invece, si è deciso di procedere con le gare, determinando un processo farraginoso e oltremodo rigido, perché il committente nello svolgere la funzione di stazione appaltante, si sta esponendo al rischio del contenzioso, tipico delle procedure di selezione, con un incontrollabile allungamento dei tempi, come ha dimostrato il disallineamento tra la ricostruzione aquilana privata e pubblica, quest’ultima sostanzialmente ferma.

Basti pensare, ad esempio, che per la realizzazione delle piastre sulle quali costruire le casette ad Accumoli hanno partecipato 274 imprese. Sulla legittimità dei procedimenti, inoltre, è vincolante il parere dell’Anac, e hanno voce in capitolo anche Parco (che infatti è intervenuto nel caso della costruzione di Ancarano di Norcia) e Sovrintendenza, determinando un eccesso di controlli che ha il solo obiettivo di allungare a dismisura i tempi della ricostruzione.

Del resto quando decine di animali – il capitale degli allevatori – muoiono per il freddo nelle zone colpite dal terremoto perché dopo mesi Governo, Regione e Commissario straordinario non sono stati capaci di fornire le strutture provvisorie per il loro riparo; quando le casette vengono estratte a sorte; quando chi vorrebbe realizzarsi da solo una casetta provvisoria in legno non può perché si tratterebbe di abuso edilizio; quando un Decreto, come quello per la ricostruzione, è concepito in modo tale che la governance non rifletta una filiera di comando ma solo un sistema di competenze degli uffici preposti che si rimpallano dei poteri, dobbiamo avere il coraggio di affermare che la politica è davvero finita, e che comandano solo ed esclusivamente i burocrati.

E nel Paese dei tantissimi condoni edilizi c’è addirittura bisogno di un emendamento al Decreto fiscale per eliminare l’obbligo di rimozione entro 90 giorni degli immobili in area sismica privi di titolo abitativo, e consentire così a Giuseppa Fattori (nonna Peppina), 95enne di San Martino di Fiastra, in provincia di Macerata, di tornare nella casetta di legno abusiva fatta costruire per lei dai familiari nel giardino di casa.

La resistenza di nonna Peppina in fondo è la resistenza di ognuno di noi, di chi ogni giorno è alle prese con un nuovo balzello, delle imprese che ogni 6 ore e 45 minuti pagano uno degli 888 adempimenti richiesti dal Fisco italiano spalmati su 250 giorni lavorativi. O la resistenza degli abitanti delle zone terremotate, che possono avere diritto ad una abitazione temporanea solo dopo 11 passaggi burocratici. O degli stessi amministratori locali che per affidare degli incarichi non possono nemmeno attingere alle graduatorie pubbliche vigenti.

“Mettiamo il caso, afferma il sindaco di Amatrice Pirozzi, che mi serva un geometra e che sia disponibile a venire qui uno che è classificato cinquantesimo nella graduatoria a Roma. Prima di prenderlo devo mandare un telegramma che costa 6 euro l’uno, agli altri 49 e aspettare la loro risposta. Se qualcuno si oppone, si blocca tutto”. Per ogni assunzione poi serve un Rup, Responsabile unico del procedimento. Ma un funzionario comunale per essere Rup di una gara di importo pari o superiore a 150.000 euro e inferiore al milione di euro, deve avere almeno dieci anni di anzianità se è diplomato, tre se ha una laurea breve, due se è ha conseguito la laurea magistrale. Un’alternativa sarebbe quella di pescare tra i 350 collaboratori assumibili durante l’emergenza, come previsto dal Governo. Ma, fanno notare dall’Anci, i contratti co.co.pro sarebbero scaduti lo scorso 31 dicembre e in pochi li hanno firmati.

Secondo l’Osservatorio per la ricostruzione di qualità promosso da Fillea-Cgil e Legambiente alla fine di ottobre 2017 sulle 108 previste solo una scuola risultava ripristinata o costruita ex novo, mentre su 3570 casette ne sono state consegnate 995 pari al 27,87%.

E se i balconi del Progetto Case de L’Aquila sono cominciati a crollare dopo sei anni perché è mancato un appalto per la gestione della manutenzione, ora affidata ad ex Lsu del Comune, le nuove casette nei comuni terremotati 2016 hanno fatto letteralmente acqua fin dall’inizio, con disagi evidenti come le infiltrazioni causate da pioggia e neve, le perdite di rete idrica, la corrente che salta impedendo il funzionamento delle caldaie e dei riscaldamenti, i topi che entrano attraverso lo scarico delle cucine bucando il materiale di isolamento delle condutture idriche.

La storia di nonna Peppina, l’indagine paradossale che ha coinvolto il sindaco di Norcia, le procedure amministrative concepite per aumentare i tempi di realizzazione di un’opera pubblica, la debolezza del legislatore che non governa nemmeno più l’attuazione delle leggi che ha approvato. Nella vicenda tragica dell’Italia centrale si condensano molte delle sfide del futuro di questo Paese, che a pensarci bene sono quelle di una politica che si riapproprierebbe della propria autorevolezza. E non sarebbe poco.

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