Smallholder: la spina dorsale della sicurezza alimentareL'IDEA DI PIETRO PAGANINI

La sicurezza alimentare in Africa è nelle mani dei piccoli agricoltori (i così detti smallholder). A dirlo è il World Food Programme delle Nazioni Unite che, nel 2021, registrava un contributo strategico, da parte degli smallholder, nella produzione di cibo, che raggiunge punte del 90% per alcuni paesi quali Repubblica Democratica del Congo, Lesotho e Madagascar.

D’altra parte, questo non basta. Con una crescita demografica superiore al 2% l’anno e un processo di desertificazione che rischia di comprometterne un quinto dell’intera superficie, a tutta l’Africa è richiesto lo sviluppo di politiche agricole integrate, secondo le quali la produzione domestica deve procedere di pari passo con flussi di import garantiti e costanti. Sia in termini di materie prime, da trasformare poi una volta giunti in Africa, sia di prodotti finiti.

OLIO DI PALMA: UNA RISORSA FONDAMENTALE

A questo proposito, merita una riflessione il caso dell’olio di palma: materia prima agricola controversa per questioni commerciali e politiche in Occidente, ma che in Africa e nelle zone tropicali del Sud-Est asiatico e del Centro America rappresenta sia la fonte primaria di grassi saturi, a sua volta nutriente fondamentale per una dieta, sia un bacino occupazionale e di sviluppo per milioni di piccoli coltivatori. Si pensi che, in Indonesia, sono più di 6 milioni gli smallholder impegnati nella coltivazione di olio di palma. 

NIGERIA E ANGOLA: DUE CASI AGLI ANTIPODI  

La prima, lo sappiamo, si è ormai consolidata come una delle major globali nella coltivazione della palma da olio. Con gli 1,4 milioni di tonnellate di olio di palma prodotto nel 2023 – cifra confermata anche nei due anni precedenti – la Nigeria si posiziona tra le big five del mercato, dopo Indonesia, Malesia, Thailandia e Colombia.

Speculare è l’Angola, invece. Settimo stato africano per estensione, con una popolazione di 31 milioni di abitanti (2021) e con un tasso di crescita del 3,5% annuo, il Paese vanta anch’esso un territorio ricchissimo, per riserve di minerali e per la floridezza dei suoi terreni agricoli. Tuttavia, dopo la lunga guerra civile, solo il 3% delle terre potenzialmente arabili è coltivato. La precaria sicurezza alimentare della popolazione, quindi, è in mano alle importazioni. È il caso dell’olio di palma, di cui il Paese è importatore netto (188mila tonnellate, nel 2020). A questo proposito, il governo di Luanda è impegnato in un’operazione per ridurre la sua dipendenza dai mercati esteri. Ma ci vuole tempo. E, in un contesto di abbandono dei terreni agricoli, i grandi protagonisti della filiera dell’olio di palma non hanno interesse a investire. Non per nulla le terre destinate alla produzione di olio di palma non sono aumentate significativamente negli ultimi anni: 23mila ettari, per una produzione di circa 57mila tonnellate. Unico punto positivo di questo stallo è non aver influito sul processo di deforestazione.

Nonostante le posizioni opposte, ci sono dei punti in comune tra questi due Paesi. Il contesto politico, in primis. Stiamo parlando, purtroppo, di nazioni instabili e attraversate da fenomeni di guerriglia.

IL PRINCIPIO DELLA SICUREZZA GLOBALE

Di positivo, invece, c’è che entrambi i modelli agricoli vedono negli smallholder la propria “spina dorsale per la sicurezza alimentare africana”, per dirla con le parole del Wfp. Sia l’Angola sia la Nigeria devono però ancora ratificare l’African Continental Free Trade Area, l’accordo di libero scambio del 2018, che mira a fare dell’intero continente un immenso mercato comune. Questo permetterebbe agevolazioni fiscali virtuose per le bilance commerciali di entrambi i Paesi, ma soprattutto darebbe ai piccoli agricoltori l’opportunità di uscire dalla propria condizione di sussistenza. Per non parlare delle possibilità di riscatto sociale. A questo proposito, pensiamo alla storia di Padre Federico Trinchero, che nella sua missione nella Repubblica Centrafricana, ha strappato dalla guerriglia 500 miliziani e li ha riqualificato in coltivatori proprio di palma da olio. C’è poi un discorso di recupero dei terreni agricoli da fare, ma anche di formazione professionale. Si pensi, infatti, che il rapporto agronomo-coltivatore in Angola è 1 ogni 5.700. In Nigeria è 1 ogni 1.000. Lavorando su entrambi i problemi, si arriverebbe a una maggiore produttività e a una concreta capacità di proteggersi da eventuali altri crisi di disponibilità di prodotti e di impennate di prezzi. Questo è il principio della sicurezza alimentare.

 

Articolo pubblicato su L’Osservatore Romano >>> 

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