- 6 March 2018
- Posted by: Competere
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Con il termine “Smart working”, s’intende la possibilità del dipendente di lavorare da casa, sfruttando gli strumenti messi a disposizione dalla tecnologia: pc, tablet, piattaforme come Skype, con il quale si possono fare riunioni senza doversi recare fisicamente in ufficio. I dati indicano l’Italia come fanalino di coda dell’Europa nell’uso degli strumenti ITC al di fuori del luoghi di lavoro- dati ILO.
PERCHÉ È IMPORTANTE? – In Italia, l’adozione di modelli di lavoro smart può aumentare la produttività delle aziende per un valore di 27 miliardi di euro e ridurre i costi fissi di 9 miliardi di euro. Telelavoro e riduzione degli spostamenti possono far risparmiare 4 miliardi di euro ai lavoratori, e nel caso italiano, possono incentivare il lavoro femminile.
Le donne inattive sul mercato del lavoro sono infatti 8,6 milioni, numero praticamente identico alle donne che lavorano. E’ stato stimato, inoltre che il 14% delle lavoratrici smetta di lavorare dopo il primo figlio (dati Istat). Questo accade per diversi motivi:
- le strutture di accoglienza per i bambini sono carenti: in Italia ci sono 22,5 posti in asilo nido ogni 100 bambini tra 0 e 3 anni, ben al di sotto dei 33 posti indicati come obiettivo strategico dalla Unione europea. Inoltre, non seguono gli stessi orari degli uffici, come avviene ad esempio in nord Europa, per cui le mamme lavoratrici italiane sono costrette a fare salti mortali e a chiedere l’intervento dei nonni, che aumentando l’età media in cui si fanno figli sono sempre meno disponibili per sopraggiunti limiti di età. Non resta che ricorrere a tate e baby sitter i cui costi vanificano gli sforzi delle lavoratrici alle quali, dopo aver pagato rette e stipendi, non resta più nulla.
- Le aziende sono impreparate ad offrire strumenti adeguati alle madri lavoratrici. Purtroppo in Italia è ancora radicata nella mente degli imprenditori la credenza che il valore di una persona dipenda da quanto tempo trascorre in azienda.
PIÙ DONNE PIÙ CRESCITA – L’uso dello smart working potrebbe essere una soluzione per le mamme non più costrette alla fatidica scelta tra figli e carriera. È tuttavia è necessario che venga ripensata la misurazione della qualità del lavoro in termini di obiettivi e non più di tempo trascorso in ufficio. L’introduzione della Legge 22 maggio 2017 n. 81, va in questa direzione, ma è necessario che ci sia anche un cambio culturale un tal senso.
L’aumento dell’occupazione femminile si rifletterebbe anche sul Pil: è stato stimato che se tutte le inoccupate entrassero nel mondo del lavoro produrrebbero circa 268 miliardi di euro pari ad oltre il 18% del Pil, portando l’occupazione femminile dal 48,8 al 70,3% allineando l’Italia a Germania e Olanda, e facendole raggiungere l’obiettivo di Europa 2020- dati sole 24 ore.
Ovviamente è fantascientifico ipotizzare che tutte le inoccupate possano mettersi a lavorare grazie allo smart working, ma se solo una piccola percentuale ci riuscisse, non varrebbe la pena incentivare questo strumento?