Un “manifesto capitalista” per il XXI secoloL'IDEA DI Luca Bellardini
- 21 January 2025
- Posted by: Competere
- Category: Lidea
Crisi finanziarie, tensioni geopolitiche e disuguaglianze sono spesso attribuite al capitalismo, ma è proprio questo sistema ad aver garantito benessere e opportunità senza precedenti, rimanendo il motore della crescita e del progresso della nostra società. È questo il tema centrale de “Il manifesto capitalista. Come il libero mercato salverà il mondo”, di Johan Norberg, con la curatela di Luca Bellardini. Un saggio che smonta i miti del declino economico e sociale, offrendo una riflessione lucida su come difendere e valorizzare i principi che hanno reso possibile il nostro sviluppo.
IL MONDO NUOVO
Da più di nove anni — cioè da quando Trump è in politica — sentiamo ripetere che il vecchio mondo globalizzato, che per anni ha risposto al canone della democrazia liberale, sarebbe finito; non soltanto per le asperità economiche ma anche per le sconfitte politiche, inferte dai cosiddetti populisti. Certo, gli shock sono stati molteplici: prima la crisi finanziaria globale, poi gli sconquassi nel debito sovrano, i Tea Party e Occupy Wall Street; quindi ancora la Brexit, il movimento MAGA, il Covid-19, l’invasione su vasta scala della Russia a danno dell’Ucraina, il caos mediorientale. Un mondo in subbuglio — economico, sanitario, militare — che ben poco sembra avere dell’ordine compreso tra la caduta del Muro di Berlino e l’Undici Settembre.
In tanti hanno preso la palla al balzo: e se fosse “colpa” del capitalismo? E se quel sistema fosse avviato al tramonto, sopraffatto dalle conseguenze negative del cambiamento climatico e dell’apparente acuirsi delle diseguaglianze? Ne Il manifesto capitalista. Come il libero mercato salverà il mondo, di cui ho curato la traduzione italiana, uscita per Liberilibri poche settimane fa, Johan Norberg — un intellettuale svedese da anni impegnato a smontare questi falsi miti — prende di petto tutte queste critiche, anche le più inverosimili e ideologiche. E ci offre una riflessione integrale su tutto il buono di cui dovremmo gioire nella società moderna, sul perché tendiamo invece a disprezzare quanto ottenuto, sulle soluzioni che potremmo adottare per risolvere i gravosi problemi della contemporaneità.
UNA PERCEZIONE SBAGLIATA
Secondo alcuni la globalizzazione coincide sostanzialmente con il capitalismo; in particolare, con la diffusione pervasiva delle attività finanziarie. Tutto il resto, nella loro visione, semplicemente non esiste; ed è così che oggi, dicono, saremmo dinanzi a un mondo in aperto declino, pericoloso e incontrollabile, in cui nuove «oligarchie» — come sostenuto da Biden nel suo discorso d’addio, alludendo probabilmente alle Big Tech e in primo luogo a Elon Musk — hanno preso il sopravvento. D’altronde, sempre costoro sono convinti che l’economia capitalista sia frutto di un grande complotto dei “pesci grossi” a scapito dei piccoli; e che il compito degli intellettuali sia quello di risvegliare le coscienze di chi non si avvede di una nuova forma di schiavitù, un po’ come nel «mito della caverna» di Platone (il filosofo preferito, da sempre, di chi non ha grande considerazione per la libertà).
Poi c’è la realtà, quella in cui le opere apertamente anticapitaliste sono autentici bestseller e molte persone si ritrovano esposte— anche involontariamente — a una ridda di messaggi ostili al mercato. Quantomeno secondo la narrazione mediatica, sembrano diffondersi l’ostilità al lavoro (specialmente se “in presenza” negli uffici) e la smitizzazione del suo ruolo sociale, la sfiducia nella costruzione di una famiglia e di una rete di amici, la noia per la “vita sociale” nei locali pubblici e all’aria aperta. Sembrerebbero temi parcellizzati, tra loro disconnessi, o legati esclusivamente all’antropologia culturale: non è così. Sono i frutti della civiltà capitalista, che ha messo a disposizione di tutti — anche dei meno abbienti — una serie di attività che pochi anni fa erano riservate ai benestanti o, comunque, assumevano forme ben diverse a seconda del ceto sociale di riferimento.
COSA POSSIAMO FARE?
Ed è per questo che, spiega Norberg, dovremmo impegnarci a difendere la società occidentale. «Non abbiamo alcunché da perdere» — scrive, parafrasando la conclusione del Manifesto di Marx ed Engels— se non i residui di un’economia precapitalista (feudale, di base) e quegli elementi che il collettivismo ha insinuato a poco a poco, finendo per comprimere le aspirazioni individuali nel nome di un fantomatico bene superiore. Il manifesto capitalista ha tanti meriti, ma uno svetta sugli altri: infonde speranza. Come sa bene chi ha spesso a che fare con loro, non è assolutamente vero che i giovani sono svogliati, apatici, insofferenti alle regole, incapaci di costruire un futuro di stabilità per sé e per i loro cari. Né è vero che i problemi affrontati nella società contemporanea sono frutto dell’avidità e dell’egoismo, i “peccati capitali(sti)” da cui discenderebbero tutti gli altri, a partire dalla degradazione ambientale.
Evidenze empiriche alla mano, Norberg ci illustra come, al contrario, lasciare che gli individui esprimessero liberamente la loro creatività e la loro voglia di fare è sempre stata la soluzione; e ci mostra che i Paesi più vicini al modello capitalista hanno mietuto successi non soltanto in termini politici e amministrativi — una drastica riduzione della povertà, per esempio — ma anche e soprattutto sociali, cioè nella vita quotidiana delle persone. Il libro spiega perché lo Stato non è affatto l’eroe della storia; le grandi imprese non sono l’antagonista; le cosiddette «autocrazie» (termine che io considererò sempre un eufemismo) non rappresentano un modello alternativo a quello democratico occidentale; e sulla diseguaglianza forse è il caso di accantonare le solite metriche semplicistiche, trite e ritrite, che riducono le persone a numeri senza indagarne la percezione soggettiva.
La “morale” della storia è che dovremmo guardare più a fondo in noi stessi, e con meno pregiudizi: scopriremmo che il nostro «manifesto» l’abbiamo già scritto, un giorno dopo l’altro, grazie al contributo di tutte le generazioni precedenti. Varrebbe soltanto la pena di leggerlo meglio, magari sforzandoci di applicarlo ove sia rimasto lettera morta. Perché il capitalismo non è una costruzione artificiosa: è lo stato di natura. Ed è per questo che, nonostante i mille tentativi di deviazione e le farneticazioni sul suo rovesciamento, continuerà a evolversi. Prevalendo su tutte le alternative.
Il libro Il manifesto capitalista (2024) diJohan Norberg, edito da Liberilibri e a cura di Luca Bellardini è disponibile nelle maggiori librerie online e sul sito dell’editore.