Dammi Tre Parole: Debito, Pensioni, Dipendenti PubbliciLo Scenario Politico di Lorenzo Castellani

Nel suo discorso finale dopo la rielezione a segretario del Partito Democratico Matteo Renzi ha semplificato la sua futura linea politica riassumendola in tre parole: lavoro, casa, mamme. L’idea di porsi comunicativamente come un politico rassicurante può essere giusta, soprattutto se si guarda agli avversari. La destra salviniana si nutre di retorica protezionista/sovranista e occupa il sentimento della paura nello spettro politico. Mentre il Movimento 5 Stelle intercetta la rabbia dei giovani, degli autonomi e degli esclusi. Renzi cerca di porsi come leader ragionevole, accogliente ed è diventato improvvisamente il vero “usato sicuro” su cui possono poggiarsi gli elettori impauriti dal sovranismo leghista e dal salto nel buio dei pentastellati.

Tuttavia, le parole-chiave di Renzi continuano ad andare a vuoto sui reali problemi del Paese.
Il lavoro è la partita irrisolta del Governo Renzi: per molti opinionisti il jobs act è stato un palliativo momentaneo destinato a svanire senza ristrutturazioni più profonde dell’assetto fiscale e della contrattazione aziendale. Effettivamente, la disoccupazione resta elevata (11,5%) e lo diventa ancor di più se paragonata agli altri Paesi europei. Le previsioni fino al 2019 non mostrano alcuna sostanziale diminuzione della stessa, se non di pochi decimali.
Purtroppo fin dal 2014 Renzi e il suo governo hanno preferito spostare le risorse su bonus ai lavoratori dipendenti, stabilizzazione dei precari della pubblica amministrazione, regalo di 500 euro ai diciottenni (che hanno comunque votato altrove), piccole agevolazioni ad una serie di corporazioni professionali, adeguamenti a favore dei pensionati invece di ridurre in modo più deciso il cuneo fiscale, liberalizzare alcuni settori dell’economia, investire (se proprio si debbano utilizzare soldi pubblici) sul miglioramento dei servizi pubblici (ma buona scuola e riforma PA sono miseramente fallite tra pressioni sindacali, disorganizzazione e sentenze della Corte Costituzionale).

Nel corso delle primarie del 2012 Renzi lo si sentiva ripetere sembra una frase “aumentare il debito pubblico significa scaricare i problemi di oggi nel futuro”. Oggi, dopo quasi tre anni di governo e quattro da segretario del partito di governo, il debito pubblico è ai massimi storici e lo scudo della BCE con il quantitative easing sta per finire. Così la pressione sui titoli di debito italiani potrebbe ricominciare a salire nel 2018 con un Paese che resta ancora al di sotto dell’1% di crescita, fanalino di coda in Europa. Inoltre, ci sono le clausole di salvaguardia da disinnescare. Per il 2018 la legge di Bilancio prevede che le aliquote IVA salgano dal 10% al 13% e dal 22% al 25% (che nel 2019 diventa 25,9%) per far fronte alle esigenze di bilancio (se non vuoi tagliare la spesa e l’economia non cresce devi aumentare le tasse). Oltre a ciò dispone che anche dalle accise sulla benzina vengano reperiti 350 milioni di euro, per coprire un fabbisogno di 19,571 miliardi di euro per rientrare nei parametri europei.

Il più recente rapporto dell’agenzia di rating Standard&Poor’s si conclude così: “l’Italia e’ particolarmente sensibile a uno shock sui tassi d’interesse. Inoltre, probabilmente l’incertezza politica persistera’ in attesa delle previste nuove elezioni l’anno prossimo”. Un avvertimento?

Considerato questo scenario esistono altre parole, o meglio concetti, a cui la politica dovrebbe dare spazio. Il condizionale è d’obbligo perché le opposizioni, e non solo il Partito Democratico, sono tutte protese a difendere la “Repubblica delle rendite”, o almeno quelle pubbliche, se non ad introdurne di nuove, come il reddito di cittadinanza. In questo contro paroliere a Matteo Renzi ne individua tra anche l’autore di questa newsletter:

– Imprese. L’ultimo asset reale rimasto al Paese è la sua produzione industriale, una minoranza geniale in grado di esportare in tutto il mondo (esportazioni che, nonostante tutto, crescono). Il lavoro, gli investimenti e il benessere delle comunità passano da qui. Oggi questo mondo, stremato dalla crisi (120mila imprese perse) ma pur sempre forte, è anche privo di una reale rappresentanza politica (il vuoto del centrodestra solo in parte occupato da 5 Stelle e Lega). Solo attraverso interventi organici di alleggerimento fiscale può rimettersi in moto anche l’occupazione. Meno finanziamenti diretti alle imprese (senza considerare gli incentivi pubblici alle rinnovabili sono circa 8 miliardi, manuale Cottarelli alla mano) in cambio di meno tasse, per iniziare. Più una lunga serie di tagli e spending review magistralmente illustrati dai vari (inutili) commissari alla razionalizzazione della spesa che si sono succeduti. Il lessico renziano non prevede più imprese e lavoratori autonomi, chi coglierà l’occasione per una proposta economica seria a queste categorie?

– Giustizia Generazionale. L’altro grande tema irrisolto: non solo disoccupazione, ma anche nessuna equità previdenziale. I giovani pagano pensioni che vengono indicizzate ad un tasso di crescita del 1,5% che il Paese non vede da decenni oramai. In altre parole: l’INPS promette ai giovani un ammontare della pensione che non potrà mantenere in futuro. A questo si aggiungono i contributi pensionistici che negli ultimi anni sono costantemente aumentati, penalizzando chi è entrato nel mercato del lavoro negli ultimi anni. Inoltre, dei circa 350 miliardi gestiti dall’ente previdenziale circa 100 miliardi vengono finanziati dalla fiscalità generale. Tradotto: contributi INPS elevati e obbligatori per tutti a cui si aggiunge una parte delle tasse pagate per ripianare i buchi dell’INPS. Eppure, tutte le forze politiche si vantano di aumenti alle pensioni minime quando sono al Governo (l’ultimo è proprio Renzi) oppure li promettono e vogliono tornare indietro sull’età pensionabile (tutti gli altri) o abolire la riforma Fornero (5 Stelle e Lega), l’unica vera riforma degli ultimi cinque anni. Ciò che servirebbe è invece una traslazione del sistema pensionistico verso un sistema prevalentemente a capitalizzazione privata oltre a interventi volti a risanare il bilancio dell’INPS (il che significa o tagli alla spesa pubblica o tagli alle pensioni sopra un certo ammontare). Se vogliamo che un domani questa generazione della crisi sia nelle condizioni di guidare bene il Paese servono certezze e progetti, non ingiustizie. Bisogna cominciare, dunque, dalla previdenza: l’ingiustizia più grande.

– Città e decoro pubblico. Tra qualche settimana si voterà per le amministrative, ma i Comuni continuano ad essere ignorati dalla quotidianità della politica italiana. Eppure i Comuni sono l’unica istituzione politica di cui il Paese dovrebbe andare fiero non solo perché gli italiani sono storicamente gli “inventori” dei municipi, ma perché il sistema politico dei Comuni funziona garantendo, meglio di tutte le altre istituzioni e soprattutto delle inutili e costosissime Regioni, stabilità e riparto di responsabilità. Il federalismo e la devolution sono spariti da qualsiasi agenda politica, eppure qualche forma di federalismo municipale andrebbe introdotta poiché questi sono l’unità politica fondamentale del nostro sistema politico. Ciò significa da un lato proporre di dotare i Comuni di maggiori competenze, risorse e leve fiscali e al contempo ridurne il numero (sono troppi) e dall’altro mettere fine alla continua deroga dei patti e richiesta di risorse aggiuntive come nel recente caso del Comune di Roma. Ciò significherebbe aumentare l’autonomia delle comunità locali e la loro responsabilità senza continuare ad appaltare alle casse e alle burocrazie romane tutte le decisioni.
Da ultimo, basta fare una passeggiata nelle principali città italiane per notare un certo livello di degrado connesso sia alla moltiplicazione di immigrati/mendicanti (specie nelle grandi città) che passano la giornata agli angoli delle strade con il rischio di alimentare situazioni di illegalità sia al livello di pulizia, ordine, mantenimento del manto stradale e degli edifici di moltissimi centri urbani. Su questo sì lo Stato dovrebbe mettere delle risorse con vincolo di destinazione volte a favorire da un lato una migliore gestione dei migranti (e dei flussi) sul territorio e dall’altro incentivando forme di cooperazione tra pubblico e privato per migliorare la condizione delle città italiane.
La spesa pubblica deve essere ridotta, ma può anche essere rimodulata in maniera più razionale.

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