Auto elettrica, serve migliorare l’efficienza e la sostenibilitàdi Benedetta Annicchiarico e Antonio Picasso

Articolo pubblicato per Economy


Nonostante vengano dipinte come le “salvatrici” del mondo, le e-car hanno ancora dei problemi da risolvere. Ecco quali

AAA Cercasi auto ibrida, a basse emissioni di CO2, nuova, veloce e che non crei disoccupazione. Per come si stanno mettendo le cose in Europa sul fronte della mobilità elettrica, un annuncio del genere è tutt’altro che inverosimile. Molte delle strategie adottate per mitigare l’emissione di gas serra sono infatti insufficienti al raggiungimento degli obiettivi del piano UE per la transizione ecologica, Fit for 55, e inadeguate rispetto alle capacità di conversione proprie dell’industria manifatturiera del nostro continente.

A darcene conferma è uno studio di Impact Living commissionato dal Cantone Vallese per quantificare l’efficienza ambientale delle auto elettriche ibride plug-in, per il cui acquisto i cittadini vallesi ricevono dal governo tra i 2mila e 5mila franchi di ecobonus. Il risultato è ben diverso da quanto sperato: il risparmio di emissioni di CO2 in confronto ai motori a benzina è minimo se non nullo. L’efficienza ambientale delle auto ibride si basa sull’abilità di usare esclusivamente il motore elettrico, a patto che questo venga ricaricato il più frequentemente possibile, altrimenti passa automaticamente al consumo di benzina. Dato che sui percorsi extra-urbani le stazioni di ricarica sono ancora troppo rare per evitare che questo accada, lo studio ha rilevato come l’uso di questi veicoli comporti un livello complessivo di emissioni pari o più alto di quello delle auto tradizionali, ben tre volte superiore a quanto promesso da molte case automobilistiche.

Tornando alle auto elettriche, il prossimo passo sarà rivalutare la loro utilità in senso ecologico, mettendovi mano per ottimizzare la loro performance oppure per reindirizzare sforzi e risorse verso strategie più promettenti.  Errare è umano – soprattutto scientifico – ma non esageriamo. Gli svizzeri ci ricordano che una valutazione d’impatto ex-ante delle politiche e tecnologie sostenibili è essenziale. E non solo dal punto di vista ambientale, ma anche sociale ed economico. 

L’Associazione Europea dei Fornitori Automobilistici (Clepa) stima che un abbandono totale della manifattura automobilistica tradizionale o ibrida a favore dei veicoli puramente elettrici porterebbe a una perdita netta di mezzo milione di posti di lavoro in tutta l’Unione. Al momento le imprese hanno reagito al campanello d’allarme chiedendo incentivi e sostegni da parte della politica. In Italia l’assenza dalla Legge di Bilancio del 2022 di un piano strutturale per la trasformazione delle filiere automobilistiche ha già suscitato le rimostranze dei diretti interessati, preoccupati dal crescente divario di competitività tra loro e gli omologhi europei, che danneggerebbe uno dei settori più importanti della nostra manifattura. Tuttavia, ciò che serve è un piano industriale che preveda sì misure paracadute sul breve periodo, ma anche un adeguamento culturale, non solo di investimenti, da parte delle forze sociali e produttive, per affrontare il futuro che ci aspetta

I risultati del Cantone Vallese rischiano di essere usati come munizioni nell’arsenale di chi rinnega la lotta al cambiamento climatico e il ruolo della tecnologia come suo alfiere. Nel resto del mondo intanto, fior fior di ingegneri continuano a cercare la sintesi tra efficienza e sostenibilità. In Giappone, per esempio, sono allo studio soluzioni complementari all’elettrico e alla batteria (celle a combustibile di idrogeno, carburanti alternativi e altro ancora), in grado, tra l’altro, di evitare la fine prematura dei motori a scoppio. L’ultima frontiera, la più estrema, è quella dei carburanti sintetici, che si ottengono esclusivamente da energia rinnovabile: la loro base è composta dall’idrogeno prodotto dall’acqua, al quale viene aggiunto il carbonio per ottenere un carburante liquido. In ogni caso, il fine ultimo è raggiungere la neutralità carbonica attraverso un pacchetto più ampio di alternative propulsive, incluso l’ibrido, il plug-in e addirittura il Diesel. Quest’ultimo infatti può diventare rinnovabile e “bio”, se realizzato con materie prime sostenibili – come i grassi delle microalghe e l’olio da cucina esausto – e fare così da alternativa al gasolio proveniente da fonti fossili.

Sull’auto del futuro, ma in realtà sul cambiamento climatico in generale, siamo su una strada in discesa e senza cinture di sicurezza. C’è chi pretende di tirare il freno a mano per risolvere il problema e chi di accelerare. Ma siamo stati avvisati: dare ascolto al mero consenso, pretendendo di risolvere la sfida del secolo a suon di slogan appetibili per la piazza, ci illude di poter viaggiare con il pilota automatico mentre il muro del 2055 si avvicina pericolosamente.

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